Romolo definisce i poteri dei patrizi e dei plebei

Romolo definisce i poteri dei patrizi e dei plebei

Ὁ δὲ Ῥωμύλος ἐπειδὴ διέκρινε τοὺς κρείττους ἀπὸ τῶν ἡττόνων, ἐνομοθέτει μετὰ τοῦτο καὶ διέταττεν, ἃ χρὴ πράττειν ἑκατέρους· τοὺς μὲν...

Dopo aver separato i più degni dai meno ragguardevoli, Romolo stabilì per legge i compiti degli uni e degli altri.

Decretò che fossero i patrizi a occuparsi del governo della città, in qualità di sacerdoti, di magistrati, di giudici; e che i plebei, liberi da tale responsabilità per la loro impreparazione e povertà, lavorassero la terra, allevassero il bestiame ed esercitassero i mestieri manuali, in modo che non sorgessero lotte interne come in altre città, quando gli uomini importanti disprezzavano gli umili, o quando i poveri invidiano quelli che hanno il potere e la ricchezza.

E ai patrizi affidò la cura dei plebei, concedendo a ciascuno di questi di scegliersi liberamente tra quelli un patrono". Consuetudine greca antica era questa ritenuta lungamente dai Tessali e dagli Ateniesi quando ancora conoscevano il meglio: ma poi declinarono al peggio, ed insolentirono sui clienti, comandando loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli di battiture se non obbedivano, ed abusandoli con altre maniere, quasi schiavi comprati.

Gli ateniesi li chiamavano "Thitas" per i servigi che rendevano, i Clienti, ed i Tessali li chiamavano "Penesti", vituperandone fino col nome stesso la condizione. Ma Romolo decorò con un nome conveniente, chiamandola patronato, la garanzia dei bisognosi e degli infimi e date all'uno e all'altro utili cure, ne rese l'unione veramente benevola e cittadina.

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