LATINO. VIRGILIO ENEIDE LIBRO IV versi 296-392

Messaggioda +chemical_girl+ » 18 mag 2010, 13:58

Ciao a tutti,mi servirebbe la traduzione dell'eneide libro IV versi 296-392, potete aiutrmi? Vi prego, dite di si, domani ho un'interrogazione importante di classico latino e nn mi posso permettere brutti voti ... ho una situazione davvero critica ... confido in voi : )

+chemical_girl+

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Messaggioda giada » 18 mag 2010, 14:10

At regina dolos quis fallere possit amantem? praesensit, motusque excepit prima futuros omnia tuta timens. eadem impia Fama furenti detulit armari classem cursumque parari. saevit inops animi totamque incensa per urbem bacchatur, qualis commotis excita sacris Thyias, ubi audito stimulant trieterica Baccho orgia nocturnusque vocat clamore Cithaeron. tandem his Aenean compellat vocibus ultro: 'dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum posse nefas tacitusque mea decedere terra? nec te noster amor nec te data dextera quondam nec moritura tenet crudeli funere Dido? quin etiam hiberno moliri sidere classem et mediis properas Aquilonibus ire per altum, crudelis? quid, si non arva aliena domosque ignotas peteres, et Troia antiqua maneret, Troia per undosum peteretur classibus aequor? mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui, per conubia nostra, per inceptos hymenaeos, si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam dulce meum, miserere domus labentis et istam, oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem. te propter Libycae gentes Nomadumque tyranni odere, infensi Tyrii; te propter eundem exstinctus pudor et, qua sola sidera adibam, fama prior. cui me moribundam deseris hospes hoc solum nomen quoniam de coniuge restat? quid moror? an mea Pygmalion dum moenia frater destruat aut captam ducat Gaetulus Iarbas? saltem si qua mihi de te suscepta fuisset ante fugam suboles, si quis mihi parvulus aula luderet Aeneas, qui te tamen ore referret, non equidem omnino capta ac deserta viderer.'



Ma la regina (chi potrebbe ingannare un amante?) presentì, per prima colse i movimenti futuri temendo ogni sicurezza. La stessa empia Fama riferì a lei impazzita, che si allestiva la flotta e si preparava la rotta. Impazza annichilita nel cuore e furiosa per la città smania come baccante, come Tiade scossa, iniziati i riti, quando udito Bacco, le orge triennali la stimolano ed il notturno Citerone la chiama col frastuono. Infine spontaneamente affronta Enea con queste frasi: "Sperasti pure poter dissimulare, perfido, sì gran sacrilegio e zitto allontanarti dalla mia terra? Né ti trattiene il nostro amore né la destra data un giorno né una Didone desinata amore di morte crudele? Anzi anche con stella invernale allestisci la flotta e ti affrettiamo ad andare al largo in mezzo agli Aquiloni, crudele? Che? Se non cercassi campi stranieri e case ignote e restasse l'antica Troia, Troia sarebbe cercata con flotte per il mare ondoso? Forse fuggi me? Io per queste lacrime e la tua destra te, poiché io stessa non lasciai null'altro a me misera, per i nostri vincoli, per le nozze incominciate, se per te meritai bene qualcosa, o per te ci fu qualche mia tenerezza, abbi pietà d'una casa che crolla e cancella, ti prego, se ancora c'è un posto per le preghiere, questa idea. A causa di te i popoli libici ed i tiranni dei Nomadi mi odiano, contrari i Tirii; proprio a causa di te fu estinto il pudore e la fama per prima, per la quale io sola salivo alle stelle. A chi mi abbandoni moribonda, ospite, solo questo nome da un marito mi resta? Che aspetto? Forse fin che il fratello Pigmalione distrugga le mie mura o il Getulo Iarba mi porti prigioniera? Almeno se prima della fuga mi fosse nato da te un figlio, se un piccolo Enea mi giocasse nella reggia, che ti richiamasse col volto, non mi sembrerei del tutto delusa e abbandonata".

Dixerat. ille Iovis monitis immota tenebat lumina et obnixus curam sub corde premebat. tandem pauca refert: 'ego te, quae plurima fando enumerare vales, numquam, regina, negabo promeritam, nec me meminisse pigebit Elissae dum memor ipse mei, dum spiritus hos regit artus. pro re pauca loquar. neque ego hanc abscondere furto speravi ne finge fugam, nec coniugis umquam praetendi taedas aut haec in foedera veni. me si fata meis paterentur ducere vitam auspiciis et sponte mea componere curas, urbem Troianam primum dulcisque meorum reliquias colerem, Priami tecta alta manerent, et recidiva manu posuissem Pergama victis. sed nunc Italiam magnam Gryneus Apollo, Italiam Lyciae iussere capessere sortes; hic amor, haec patria est. si te Karthaginis arces Phoenissam Libycaeque aspectus detinet urbis, quae tandem Ausonia Teucros considere terra invidia est? et nos fas extera quaerere regna. me patris Anchisae, quotiens umentibus umbris nox operit terras, quotiens astra ignea surgunt, admonet in somnis et turbida terret imago; me puer Ascanius capitisque iniuria cari, quem regno Hesperiae fraudo et fatalibus arvis. nunc etiam interpres divum Iove missus ab ipso testor utrumque caput celeris mandata per auras detulit: ipse deum manifesto in lumine vidi intrantem muros vocemque his auribus hausi. desine meque tuis incendere teque querelis; Italiam non sponte sequor

Aveva detto. Egli teneva gli occhi immobili agli ordini di Giove e sforzandosi premeva il dolore dentro il cuore. Finalmente proferisce poche cose: "Io mai negherò che tu hai meriti, i maggiori che parlando sei in grado di enumerare, o regina, né mi rincrescerà ricordarmi di Elissa, fin che io stesso sia memore di me, fin che lo spirito regga queste membra. Per il fatto dirò poco. Né io sperai nasconder con frode questa fuga, non credere, né mai ho alzato fiaccole di marito o venni a tali patti. Io se i fati permettessero di condurre la vita secondo miei desideri e e calmare gli affanni di mia scelta, anzitutto onorerei la città troiana ed i dolci resti dei miei, si manterrebbero le alte regge di Priamo, e con mano ostinata avrei rifatto Pergamo per i vinti. Ma ora Apollo Grineo e gli oracoli dei Licia mi hanno comandato di raggiungere Italia; questo il mio amore, questa è la mia patria. Se le rocche di Cartagine e la vista d'una città libica trattiene te, Fenicia, quale invidia c'è che finalmente i Teucri si fermino su terra Ausonia? E' fato che anche noi cerchiamo regni stranieri. Me terrorizza la sconvolta immagine del padre Anchise e mi ammonisce in sogno, quando, piovendo le ombre, la notte ricopre le terre, quando gli astri ignei sorgono; Me, pure, i piccolo Ascanio ed il torto del caro volto che defraudo del regno d'Esperia e dei campi fatali. Ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove, lo giuro sul capo d'entrambi, inviò ordini attraverso i cieli veloci: io stesso vidi il dio in chiara visione che penetrava le mura e ne assorbii la voce con queste orecchie. Smetti di incendiare me e te coi tuoi pianti; l'Italia la inseguo non spontaneamente."


Talia dicentem iamdudum aversa tuetur huc illuc volvens oculos totumque pererrat luminibus tacitis et sic accensa profatur: 'nec tibi diva parens generis nec Dardanus auctor, perfide, sed duris genuit te cautibus horrens Caucasus Hyrcanaeque admorunt ubera tigres. nam quid dissimulo aut quae me ad maiora reservo? num fletu ingemuit nostro? num lumina flexit? num lacrimas victus dedit aut miseratus amantem est? quae quibus anteferam? iam iam nec maxima Iuno nec Saturnius haec oculis pater aspicit aequis. nusquam tuta fides. eiectum litore, egentem excepi et regni demens in parte locavi. amissam classem, socios a morte reduxi heu furiis incensa feror: nunc augur Apollo, nunc Lyciae sortes, nunc et Iove missus ab ipso interpres divum fert horrida iussa per auras. scilicet is superis labor est, ea cura quietos sollicitat. neque te teneo neque dicta refello: i, sequere Italiam ventis, pete regna per undas. spero equidem mediis, si quid pia numina possunt, supplicia hausurum scopulis et nomine Dido saepe vocaturum. sequar atris ignibus absens et, cum frigida mors anima seduxerit artus, omnibus umbra locis adero. dabis, improbe, poenas. audiam et haec Manis veniet mihi fama sub imos.' his medium dictis sermonem abrumpit et auras aegra fugit seque ex oculis avertit et aufert, linquens multa metu cunctantem et multa parantem dicere. suscipiunt famulae conlapsaque membra marmoreo referunt thalamo stratisque reponunt.


Girata ormai lo guarda dir tali cose girando qua e là con gli occhi e tutto lo squadra con sguardi muti e così accesa prorompe: "Né una dea ti fu genitrice né Dardano capostipite, perfido, ma ti generò da duri macigni l'orrendo Caucaso e tigri Ircane offrirono le mammelle. Ma che dissimulo o a quali cose maggiori mi riservo? Forse che gemette al nostro pianto? Forse chinò gli sguardi? Forse, vinto, versò lacrime o commiserò l'amante? Cosa opporrò a cosa? Ormai neppure la massima Giunone né il padre saturnio guarda questo con occhi giusti. In nessun luogo lealtà sicura. L' ho accolto buttato sul lido, bisognoso ed io pazza lo misi a parte del regno. Riportai la flotta perduta ed i compagni da morte. Ahi, incendiata dalle furie sono portata..: ora Apollo augure, ora i responsi di Licia, ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove porta per i cieli i comandi. Senz'altro questa è la pena per i celesti, tale affanno affatica i tranquilli. Né ti trattengo né ribatto le parole: Va, insegui coi venti l'Italia, cerca regni attraverso le onde. Spero davvero che in mezzo a scogli, se le pie preghiere possono qualcosa, berrai i supplizi e spesso chiamerai per nome "Didone!". Assente t'inseguirò con neri fuochi e, quando la morte separerà le membra dall'anima, io, ombra sarò in tutti i luoghi. Pagherai, malvagio, il fio. Sentirò anche sotto i profondi Mani verrà tale notizia". Con queste parole ruppe a metà il discorso ed i cieli fugge, malata, si volse e si toglie dagli occhi, lasciandolo molto tentennante di paura e preparandosi a dire molto: la sorreggonO le ancelle e riportano le membra crollate sul letto di marmo e le ripongono sui cuscini.

giada

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