Wegener, le deriva dei continenti e i terremoti.

Messaggioda lunina » 13 gen 2011, 15:14

Nel 1912 il fisico tedesco Alfred Wegener formulò la teoria della deriva dei continenti, secondo la quale, un tempo, le terre emerse erano un unico enorme continente, chiamato Pangea, circondato da un immenso oceano, chiamato Panthalassa. La Pangea, con il tempo, si sarebbe suddivisa in due super continenti, Laurasia e Gonwana, separate da un unico mare, il Tetide. I due super continenti hanno continuato a smembrarsi e spostarsi, formando i continenti odierni che sono andati alla deriva fino ad occupare le posizioni attuali. A conferma della sua teoria, Wegener portò due prove: una paleontologica e una geologica. Quella paleontologica si basa su ritrovamenti fossili di specie identiche di animali e vegetali, in continenti che oggi sono molto lontani tra loro, mentre nella ricostruzione di Wegener essi venivano a trovarsi molto vicini. Secondo la prova geologica, le rocce che si trovavano lungo i margini dei continenti, che idealmente s’incastrano, sono identiche anche nella sovrapposizione degli strati geologica. L’Africa meridionale, ad esempio, ha un paesaggio molto simile all’America meridionale. A quei tempi, però, la teoria di Wegener fu accolta con scetticismo, perché il fisico non riusciva a spiegare come e perché la Pangea si fosse separata in più continenti, né da cosa scaturisse la forza capace di spostarli. Oggi, invece, la teoria è universalmente riconosciuta, in quanto la scienza ne ha dato la più completa spiegazione attraverso la teoria della tettonica a zolle.
Con le più moderne tecnologie, siamo riusciti a ricostruire i fondali oceanici. Il fondo dell’oceano, però, non è come si può pensare, un’enorme pianura, ma un susseguirsi di montagne e di valli, con una conformazione analoga a quella delle terre emerse. Soprattutto, si è scoperto il susseguirsi di catene montuose, dette dorsali medio-oceaniche, che seguono le linee di confine dei continenti. Ogni dorsale è costituita da due catene montuose parallele, separate da una valle che forma una vera e propria spaccatura del fondo oceanico, da cui fuoriesce il magma, materiale roccioso fuso ad altissime temperature che possono andare dai 2000° ai 5000°. Questo, giunto in superficie, si raffredda e sospinge lateralmente il materiale già presente, allontanandolo dal centro della dorsale. In questo modo, i fondali oceanici si espandono continuamente. Le aree delimitate da queste dorsali sono dette zolle o placche e risultano in costante movimento. Questo processo ha provocato la spaccatura della Pangea e il formarsi dei continenti, il cui movimento prosegue tuttora. Nasce così la teoria della tettonica a zolle che conferma la teoria di Wegener, affermando che le zolle trascinano i continenti come dei pacchi su un rullo trasportatore. Le zolle sono in lento ma continuo movimento, si possono infatti spostare da 1 a 10 cm all’anno; tale movimento può portare due zolle ad allontanarsi l’una dall’altra, oppure ad avvicinarsi fino a scontrarsi o ad avvicinarsi e scorrere l’una accanto all’altra. Se le due zolle si allontanano, possono portare a due avvenimenti differenti. Se l’allontanamento cessa dopo breve tempo, tra le due zolle resta solo una grande frattura, detta fossa tettonica, o valle di rift, come la Great Rift Valley, che dal Mar Morto si estende fino ai grandi laghi dell’Africa meridionale. Se l’allontamento, al contrario, continua per lungo tempo si determina la formazione di un nuovo mare che può diventare un oceano. Quando due zolle si avvicinano e si scontrano, possono verificarsi tre diversi fenomeni; se le due zolle che si scontrano sono di tipo oceaniche, una si piega e si incunea sotto l’altra. Questa placca continua a scendere verso zone più profonde, si fonde e diventa magma. Questo fenomeno è chiamato subduzione, e fa sì che parte del magma torni nel mantello formando vulcani, che a loro volta, riemergendo, possono formare degli archi vulcanici insulari. Se le due zolle che si scontrano, sono una oceanica e una continentale, quella oceanica sprofonda sotto quella continentale, fonde e forma il magma. Per subduzione, il materiale sprofondato tende a risalire alimentando i fenomeni vulcanici, che a loro volta scateneranno dei terremoti di origine vulcanica. Se le zolle sono continentali, non producono magma, perché hanno la stessa intensità e nessuna delle due affonda nel mantello. Al loro scontro, però, si accavallano, formando catene montuose, come è precedentemente successo con la catena dell‘Himalaia e delle Alpi. Quando due zolle si avvicinano per poi scorrere l’una accanto all’altra, la linea di contatto si chiama faglia. Una delle più importanti, è quella di San Andreas, dove la zolla pacifica scorre accanto a quella americana alla velocità di 5 cm all’anno. Questo scorrimento avviene a scatti, e può, dunque, provocare terremoti.
I terremoti sono movimenti più o meno violenti della crosta terrestre. Poiché le zolle sono in movimento, le masse rocciose subiscono deformazioni. Finché resistono, accumulano energia potenziale di natura elastica, ma subendo uno sforzo maggiore al carico di rottura, si spezzano e liberano energia meccanica sottoforma di oscillazioni. Secondo le loro origini, i terremoti possono classificarsi in:
- vulcanici: quando sono strettamente legati alla presenza di un vulcano, e può rappresentare un’imminente ripresa dell’attività di quest’ultimo.
- locali: se originati dal franamento o dal crollo di cavità sotterranee.
- tettonici: se sono legati al movimento delle zolle.
Il luogo più o meno profondo dove avviene la frattura della roccia che dà origine al terremoto è chiamata ipocentro. Da qui il movimento si propaga attraverso onde sismiche. Il punto in superficie che si trova subito sopra all’ipocentro è chiamato epicentro, ed è la zona più colpita dal terremoto. A seconda della profondità dell’ipocentro, un terremoto è detto: superficiale, se la profondità dell’ipocentro non supera i 60 km, intermedio, se la profondità va dai 70 ai 300 km, e profondo, se supera i 300 km. Un terremoto viene misurato secondo due metodi: con la scala Mercalli, che valuta i danni provocatri a cose e persone che classifica l’intensità del terremoto in dodici gradi, e con la scala Richter, che tiene conto della quantità di energia effettivamente sprigionata durante il terremoto, classificando il magnitudo in grado. Il singolo evento che ha fatto registrare più vittime negli ultimi mille anni è il terremoto dello Shaanxi (Cina) del 1556, di magnitudine 8,3, a causa del quale morirono 830.000 persone. Quello a più alta magnitudo, invece, è il Terremoto di Valdivia (Cile) del 1960, che raggiunse 9,5.

lunina

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Messaggioda giada » 15 gen 2011, 17:58

hai guadagnato 1 credito okbenfatto

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