Francesco Petrarca - Vita, Canzoniere, Confronto con Dante

Messaggioda Maricri » 1 feb 2011, 17:59

[center]Francesco Petrarca
Francesco Petrarca nasce nel 1304 ad Arezzo da Ser Petrarca, un notaio fiorentino esiliato dalla sua città perché guelfo bianco proprio come Dante.
Petrarca intraprese ben presto lo studio della retorica, della grammatica, della dialettica e lesse i classici latini di Cicerone, Virgilio, e dei padri della Chiesa come Sant'Agostino. Ad Avignone, nella chiesa di Santa Chiara, il 6 aprile del 1327 vide per la prima volta Laura, la donna che egli amò lungamente e che ispirò tutte le sue poesie. Nel frattempo cercava una sistemazione, abbracciando lo stato ecclesiastico di cui prese gli ordini minori. Viaggiò a lungo in Francia, Fiandra, Germania, spinto da irrequietezza e dal bisogno di vedere cose nuove. Nel 1337 visitò Roma ammirando i monumenti dell'attività classica, successivamente si ritirò in una casetta a Val Chiusa a poche miglia dalla città di Arezzo. Questa ricerca di un rifugio solitario lontano dagli uomini dove fosse possibile vivere una vita raccolta e pensosa debita agli studi della poesia e a un intimo colloquio con la propria anima, alla ricerca sempre di perfezione ma allo stesso tempo travagliata da un dissidio spirituale, morale e religioso.
All'ideale sincero di una vita integralmente cristiana si contrapponevano in lui il desiderio di onori, una smodata brama di gloria, l'ardore delle passioni (nel 1337 nacque una figlia, nel 1343 ebbe un figlio, frutto di amore sensuale e effimero) e il suo amore per la poesia. Val Chiusa, Selvariana e Arqua sono le tappe di un pellegrinaggio ideale del poeta sempre alla ricerca di se stesso, di un superiore equilibrio spirituale sempre sfuggente. Nel 1341 il Petrarca venne incoronato in Campidoglio, e questo periodo accentua la sua crisi spirituale soprattutto quando il fratello Gerardo si fece monaco, con il quale aveva un profondo legame spirituale nel 1374. Quella del Petrarca potrebbe sembrare vista dall'esterno la vita di un uomo felice: fu riverito, fu ammirato, ottenne grandi riconoscimenti e ebbe una vita agiata, e invece non fu così, la sua fu una vita molto travagliata e tormentata dal dissidio spirituale che il poeta non riuscì mai a sanare: il dissidio tra cielo e terra. Dissidio spirituale tra:
- Cielo
- Spiritualità Terra
- Attaccamento ai beni materiali
- Piaceri della vita e glorie

Cioè tra l'ideale religioso che lo spingeva a vivere un'esistenza integralmente cristiana, dominata dal sentimento e dalla vita ultraterrena, e la sua adesione fervida e istintiva alle seduzioni del mondo, soprattutto all'amore, alla gloria che rappresentano per lui un miraggio di felicità. In Petrarca oltre al dissidio spirituale dobbiamo porre l'attenzione anche a quello che è presente in lui e cioè il contrasto tra due civiltà: quella medioevale fondata su una concezione della vita dominata dall'idea cristiana, e quella umanistico rinascimentale tesa ad una piena rivalutazione dell'autonomia di dignità e bellezza dell'esistenza terrena dell'uomo. Petrarca si tenne sostanzialmente lontano dalla realtà politica del suo tempo: la sua vita fu alla continua ricerca di un rifugio tranquillo e solitario, nel quale egli, lontano dal “rumore” del mondo e delle sue vicende sentite queste come caduche e vane, potesse pertanto dedicarsi agli studi della poesia e ad un intimo colloquio con la propria anima. Il suo insomma fu un ideale di vita non attiva, ma contemplativa volta al colloquio non con gli uomini del suo tempo, ma con i grandi del passato, in particolare con i poeti dell'età classica (greca e romana) perché solo in questo poteva essere trovato l'ideale di perfezione.

Il canzoniere
Petrarca e il volgare
Petrarca si attendeva la fama e l'immortalità presso i posteri non da quello che noi unanimemente consideriamo il suo capolavoro, ma dalle opere latine. Mostra impegno a perfezionare i suoi versi in volgare, egli si prefiggeva una duplice impresa: da un lato ridar lustro alla lingua antica, restaurandone la genuina classicità, il lessico, la sintassi, i procedimenti retorici, dall'altro elevare la lingua volgare alla dignità formale del latino. Pur convinto che la lingua per eccellenza della letteratura fosse il latino Petrarca voleva dimostrare che era possibile far poesia di livello alto anche in volgare.

Formazione del canzoniere
Il titolo che Petrarca pone sul manoscritto definitivo è Rerum vulgarium fragmenta (frammenti di cose in volgare) in cui si può cogliere la punta di sufficienza che il poeta ostentava nei confronti delle sue liriche in volgare. L'opera si suole anche designare con la formula rime sparse ricavata dal primo verso del sonetto che funge da proemio, oppure più semplicemente come canzoniere. Esso è costituito da 366 componimenti, in massima parte da sonetti (317), ma anche canzoni, ballate, sestine, tutte le forme metriche consacrate dalla tradizione lirica precedente, dai trovatori provenzali ai rimatori siciliani agli stilnovisti.

L'amore per Laura
La materia quasi esclusiva del Canzoniere è costituita dall'amore del poeta per una donna, chiamata Laura, incontrata “ il sesto d'aprile” venerdì santo in una chiesa di Avignone nel 1327. E' un amore perpetuamente inappagato e tormentato. Il poeta è chino su se stesso ad esplorare moti e conflitti interiori, e spesso assapora quasi il piacere di soffrire e di piangere. Gli stati d'animo rappresentati dalla poesia riflettono un continuo oscillare tra poli opposti, senza mai una risoluzione definitiva: ora il poeta tesse intorno alla donna complesse architetture d'immagini, giocando simbolicamente sul nome Laura che si richiama il “lauro” poetico; ora contempla l'immagine della donna, creata dal sogno, dalla fantasia o dalla memoria e si nutre di vane speranze;ora lamenta la sua crudeltà e indifferenza. Questa vicenda ha una svolta alla morte della donna (1348). In tal modo il canzoniere risulta nettamente diviso in due parti “la rime in vita” e le “rime in morte” di Laura. Alla morte della donna amata il mondo sembra improvvisamente scolorire, farsi vuoto e squallido. Ma non per questo la passione si estingue. Nel sogno Laura appare + bella e – altera,+mite e compassionevole verso le sue sofferenze. Ma dopo il lungo vaneggiare il poeta senta il peso del peccato e il desiderio di purificazione. La morte gli appare come un dubbioso passo pieno di insidi e di pericoli perché non sa se dio lo perdonerà (invece in dante questo dissidio non cè ma trova la via della salvezza incontrando dio)

La Figura di Laura
L'immagine complessiva di Laura alla fine del canzoniere resta di una bella donna bionda che si staglia di regola su un ridente sfondo naturale. Compaiono spesso nell'opera notazioni riferite alla sa bellezza fisica ma la sua figura resta oltremodo evanescente in vari particolari su cui il poeta insiste : i capei d'oro, il vago lume, dei begli occhi, il dolce riso,le rose vermiglie delle labbra, la neve del viso, il collo ov'ogni latte perderia sua prova, il bel giovenil petto, le man nianche e sottili, l'angelico seno.

Il “dissidio” petrarchesco
Ciò che caratterizza la spiritualità di Petrarca è un bisogno di assoluto, di eterno ,di un approdo stabile in cui l'animo trovi una pace perfetta. In contrasto con queste aspirazioni fondamentali egli senti con angoscia la labilità di tutte le cose umane. Come attesta l'ultimo verso del sonetto che funge da proemio al libro, in lui è chiara la consapevolezza che quanto piace al mondo è breve sogno. Tutti i piaceri e le gioie che gli uomini inseguono affannosamente impiegando nella ricerca il loro tempo e le loro forze sono illusioni effimere destinate a dissolversi col sopraggiungere della realtà ultima e definitiva la morte. Ma il canzoniere non è la commedia: il viaggio dell'anima non può concludersi, e il dissidio interiore al termine del libro non trova una soluzione. Per usare un'immagine della commedia, mentre Dante scrive la sua opera quando già è uscito “fuori del pelago a la riva” e può voltarsi a guardare ormai al sicuro l”acqua perigliosa”, Petrarca compone il canzoniere quando è ancora immerso nelle acque tempestose.
Lingua e stile del canzoniere
Dante usa un plurilinguismo ovvero mescolava materiali proveniente da campi diversi al fine di potenziare la carica espressiva del suo linguaggio. La rigorosa selezione a cui Petrarca sottopone il reale invece si traduce in una lingua che impiega un numero ristrettissimo di vocaboli;non solo ma il linguaggio petrarchesco è anche rigorosamente uniforme: i pochi termini ammessi sono attinti tra quelli più pani e generici. Petrarca rifiuta ogni parola troppo corposa e precisa, troppo realistica ed espressiva, troppo aulica e rara o troppo pedestre, ed evita ogni scontro violento tra livelli stilistici, ogni stridore di suono e significato per questo si parla di Uniliguismo.

Confronto fra Dante e Petrarca
I poeti Dante Alighieri e Francesco Petrarca hanno vissuto in contesti storico-politici differenti che hanno condizionato la loro produzione scritta. L’intellettuale Dante visse fino in fondo la situazione critica di Firenze, la sua città natale, negli anni in cui il comune era dilaniato da lotte civili interne dovute alla lotta tra guelfi e ghibellini. Partecipando in prima persona a questo difficile periodo storico, rimase egli stresso vittima e ingiustamente venne condannato all’esilio. Petrarca, invece, visse nell’epoca delle Signorie, in un periodo di transizione tra il medioevo e l’umanesimo quando crollarono la Chiesa e l’Impero, le due istituzioni che da sempre, nel Medioevo, erano state un punto di riferimento per l’uomo.
Da qui notiamo la principale differenza tra i due poeti: Dante, l’intellettuale cittadino, dedito ad un attivo impegno politico e legato agli schemi medioevali; Petrarca, l’intellettuale cosmopolita, legato a nessuna tradizione municipale e aperto a nuove conoscenze.
Il contesto storico-politico degli anni in cui hanno vissuto Dante e Petrarca delinea anche il loro modo di essere, la loro visione del mondo che poi è rispecchiata nelle loro opere.
Dante è dotato di un sapere enciclopedico e questo lo notiamo soprattutto nelle sue opere: la Commedia, la sua opera più importante nel quale tratta innumerevoli temi; le Rime, nella quale esprime la sua passione per la conoscenza e la difficoltà per raggiungerla; il Convivio, dove vengono trattati svariati argomenti. Petrarca, invece, concentra la sua produzione scritta sull’uomo, in particolare su sé stesso e sul proprio dissidio interiore; come nel suo Canzoniere. La condizione di peccatore del poeta, insicuro e tormentato, è di valore universale, in quanto ciò che è la condizione del poeta, rispecchia anche l’essere dell’uomo di quel periodo storico. Quindi, mentre Dante ha fiducia in un ordine unitario e fonda il suo pensiero sulla filosofia della Scolastica, prendendo come punto di riferimento S. Tommaso, Petrarca fonda il suo pensiero sulla filosofia che pone l’uomo al centro della sua indagine e che studia la sua interiorità, così si affida al pensiero di S. Agostino che cita anche nella sua opera Secretum, delineandolo come l’uomo che lo aiuta a raggiungere la salvezza eterna nel suo continuo dissidio interiore tra i piaceri terreni e l’elevazione spirituale. Petrarca ha scritto altre due opere che rispecchiano il dissidio interiore che lo tormentava: il De vita solitaria, nel quale si comprende come il poeta voglia elevarsi spiritualmente ma non rinuncia ai piaceri terreni; il De otio religioso, nel quale elogia la vita monastica dedita alla preghiera ed alla sola contemplazione di Dio.
Petrarca scorge, comunque, nella fede una tensione continua a differenza di Dante che percepisce in essa una certezza solida e stabile. Infatti, abbiamo già detto che Petrarca vive in un epoca storica durante la quale vi è il crollo della Chiesa, istituzione corrotta e instabile, e per questo motivo egli nutre una profonda delusione ad è alla continua ricerca di quei valori che sono andati perduti; è perciò un intellettuale cosmopolita. Dante, invece, è fermo sulla sua concezione universalistica dell’Impero, su esempio dell’Impero romano mentre, in Petrarca, il pensiero di unità dell’Impero è totalmente scomparso.
Nei due intellettuali vi è anche una concezione diversa di poeta e letteratura; così mentre Dante è il colto medioevale che regge ogni campo della conoscenza, si pone come maestro di vita e concepisce una letteratura basata sulla fede religiosa e la morale, Petrarca è semplicemente “il poeta”, convinto del valore autonomo della letteratura e vede nella poesia un mezzo di purificazione. Egli è un testimone della condizione umana e, nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta, è una guida spirituale che mette a disposizione dei suoi lettori le sue conoscenze e le sue competenze culturali.
In base all’esperienza di vita dei due poeti, si nota una differenza stilistica dovuta al plurilinguismo di Dante e all’unilinguismo di Petrarca.
Il De vulgari eloquentia di Dante è un trattato in latino sulle lingue che si incentra principalmente sulla volontà del poeta di ridare alla lingua volgare una sua dignità. Dante vede nel volgare la lingua di comunicazione, adatta a trattare di argomenti elevati, come afferma anche nel Convivio, ma non disprezza il latino: infatti, la definisce una lingua secondaria e la utilizza principalmente per rivolgersi ad un pubblico dotto nel De vulgari eloquentia. Petrarca, a differenza di Dante, identifica nel latino la lingua di comunicazione, la lingua ufficiale della cultura. Utilizza il volgare solo nel Canzoniere e nel poemetto i Trionfi e privilegia per le opere dai contenuti più elevati, il latino. Petrarca, quindi, non disprezza il volgare, anzi cerca di elevarlo alla bellezza formale del latino. Petrarca ama l’uso del latino anche perché esso si rifà alla cultura del mondo classico. Come Petrarca, anche Dante rievoca la cultura classica, utilizzando immagini e temi classici per poi rimodellarli a seconda della sua visione della realtà. A differenza di Dante che allegorizza la cultura classica, Petrarca è consapevole della rottura avvenuta tra mondo antico e mondo contemporaneo e perciò vuole recuperare il senso autentico dei testi antichi ricercando in essi i valori perduti nella sua epoca.
L’esperienza poetica e l’intera vita dei due poeti, ruota attorno alle figure di due donne, Beatrice e Laura che, a loro volta, rispecchiano la personalità dei due autori che le hanno create: Dante e Petrarca. Beatrice e Laura sono evocatrici di due epoche della storia. Beatrice è la “donna angelica”, portatrice di elevazione spirituale, aspirazione alla bellezza divina; non fa parte del mondo terreno ma del mondo eterno, perfetto. Beatrice vive il suo pieno splendore dopo la sua morte e così annuncia l’autenticità della sua bellezza interiore. Ciò è provato soprattutto nell’opera di Dante, la Vita Nuova, nel quale notiamo il cambiamento di Dante e del suo modo di poetare e lodare Beatrice, dopo la sua morte. Ella non è mai descritta in tratti fisici da Dante ma è descritta solo in base agli effetti che provoca al suo passaggio. Laura, invece, è conosciuta nel mondo terreno soprattutto per la sua bellezza, subisce l’azione del tempo ed è inserita in una prospettiva del tutto naturale. La donna di Petrarca, a differenza di Beatrice, provoca nel poeta una costante agitazione, è fonte della perdizione del poeta, come verifichiamo nella sua opera Rerum vulgarium fragmenta. La sua morte è una tragica fine di ogni desiderio terreno. L’amore di Petrarca è, perciò, un amore sensuale, terreno e continuamente vissuto come peccato. Inoltre, è anche materia per l’investigazione dell’io. L’amore di Dante, invece, è percepito come strumento per giungere a Dio, è portatore di salvezza eterna.
Per concludere possiamo affermare che Dante è stato per Petrarca un importante punto di riferimento anche se egli ne parla con distacco e indifferenza.[/center]

Maricri

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