Rivoluzione Partenopea 1799 LA REPUBBLICA NAPOLETANA

Messaggioda LadyC. » 3 feb 2011, 15:38

La Rivoluzione Partenopea
LA REPUBBLICA NAPOLETANA
1798-1799


“Né la libertà può sorgere dove non sia Umanità, perché l'Umanità è la base dell'uguaglianza, siccome questa lo è della Giustizia e della Libertà”

Eleonora Fonseca Pimentel
“Monitore Napoletano” 25 maggio 1799


La campagna in Italia istituita e conseguita da Napoleone cominciava già a dare i primi frutti. Infatti, nel 1796, le truppe francesi, da lui guidate, cominciarono a riportare significativi successi: le armate napoletane, sebbene fossero di gran lunga più avvantaggiate rispetto a quelle francesi, poiché le superavano di circa 30.000 uomini, il 5 giugno furono costrette all'armistizio di Brescia, e a lasciare ai soli austriaci l'onere della resistenza ai francesi. Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l'una dopo l'altra vennero proclamate delle repubbliche cosiddette "sorelle", filofrancesi e giacobine: la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797, la Repubblica Romana nel 1798. Ma le forze conservatrici e antirivoluzionarie non restarono inerti. Un primo tentativo di rovesciare la Repubblica Romana, da parte dell'esercito napoletano, avvenne nel novembre 1798. Per pochissimi giorni le truppe di Ferdinando IV riconquistarono la città in nome del sovrano pontefice. Ma nel dicembre successivo, i francesi erano nuovamente padroni di Roma e, a loro volta, si lanciarono in offensiva verso Napoli.

“E da Napoli, il 15 dicembre, il re proclamava: - Chiunque ha cuore, ama Iddio, la Santa Nostra Religione e tutto ciò che possiede, prenda le sue armi per difendersi. Non vi fate illusioni, se non accorrete subito per difendervi perderete tutto, la Religione, la vita e la roba, e vedrete disonorate le vostre mogli, le vostre figlie e le vostre sorelle -”

Lucio Villari
“Bella e Perduta” Laterza 2009


Anche la Repubblica Napoletana fu diretta, come molte altre, da esponenti della borghesia colta: avvocati, medici, notai, militari e anche alcuni aristocratici. L'influenza genericamente definita giacobina si esprimeva soprattutto negli scritti di Vincenzo Russo, Mario Pagano e nel giornale militante “Il Monitore” di Eleonora Fonseca Pimentel, la donna che insieme ai patrioti aveva partecipato alla proclamazione della Repubblica Napoletana il 22 gennaio 1799. Russo fu l'esponente fra i più radicati: infatti teorizzava l'instaurazione della società di eguali predicata da Babeuf, dove sarebbe stato messo in comune ogni bene superfluo.

“I giacobini dello Stato Napoletano, uniti con i loro fratelli di tutta Italia, trapiantarono in Italia l'ideale della libertà secondo i tempi nuovi, come governo della classe colta e capace, intellettualmente ed economicamente operosa, per mezzo delle assemblee legislative uscenti da più o meno larghe elezioni popolari; e, nell'atto stesso, abbatterono le barriere che tenevano separate le varie regioni d'Italia, specialmente la meridionale dalla settentrionale, e formarono il comune sentimento della nazione italiana, fondandolo non più, come prima, sulla comune lingua e letteratura e sulle comuni memorie di Roma, ma su un sentimento politico comune.”

Benedetto Croce
“Storia del Regno di Napoli”
Adelphi 1992

“La disuguaglianza comincia fatalmente allora quando io non posso avere abbastanza per i miei bisogni e tu hai al di là dei tuoi”

Vincenzo Russo in Lucio Villari
“Bella e perduta” Laterza 2009

Mario Pagano fu il vero autore della Costituzione della nascente Repubblica Napoletana, che si rifaceva a quella moderata francese del 1795, con alcune varianti per quanto riguarda gli ambiti democratico-sociali: ad esempio veniva dichiarato dovere dell'uomo - soccorrere gli altri uomini e sforzasi di conservare e migliorare l'essere dei suoi simili -oltre che era considerato dovere – alimentare i bisognosi – e – illuminare e istruire gli altri -. Il governo repubblicano napoletano, però, durò soltanto pochi mesi, giacchè verrà poi brutalmente scacciato dalla reazione borbonica. Inoltre, tale governo, doveva agire sotto la tutela del governo dei francesi, giacchè repubblica “sorella” della Francia rivoluzionaria, che i ranghi più bassi del popolo napoletano consideravano invasori. La Repubblica ebbe però lo spazio e il tempo materiale per pubblicare alcune leggi e decreti: la più innovativa di tutte, approvata il 29 gennaio 1799, aboliva i fedecommessi e le primogeniture. A febbraio si cominciò a discutere a proposito di una legge che avrebbe del tutto fatto scomparire gli antichi privilegi feudali. Tale provvedimento fu promulgato il 25 aprile dello stesso anno, quando però era ormai troppo tardi per renderlo efficace.

Articolo I
“Resta abolita qualunque istituzione e qualificazione feudale, egualmente, che tutti i diritti di feudalità di qualunque natura possano essere. Tutti i cittadini per lo innanzi nominati principi, duchi, baroni ecc. rientreranno nella classe degli altri Cittadini, né potranno assumere altra denominazione.”
Costituzione Napoletana 1799
Articolo III
“Sono aboliti tutti i diritti di servizio personale, come angari, perangari, ed ogni altra prestazione proveniente da detta causa.”
Costituzione Napoletana 1799


Ma la reazione a queste leggi fu prevalentemente la diffidenza, l'ostilità e la rivolta. Tutti i patrioti repubblicani erano accusati di essere ricchi signori, infatti molti giacobini erano dei nobili, lontani dal popolo, garanti di interessi propri anziché comunitari. E' proprio su questa insofferenza popolare che fece leva la spedizione punitiva del cardinale Fabrizio Ruffo, che riportò alla conquista borbonica del Regno di Napoli. Il cardinale riuscì a costituire un'armata, detta della “Santefede”, composta da contadini e da civili, e a condurla dalla Calabria, dove si era formata, al Regno di Napoli. Era un'armata animata dal desiderio di difendere i privilegi delle comunità locali, gli assetti sociali esistenti, l'integrità e i valori della Chiesa Cattolica, delle sue gerarchie, liturgie e dei suoi dettati dogmatici.

“Fabrizio cardinal Ruffo, vicario generale del Regno di Napoli. […] Bravi e coraggiosi Calabresi! Soffrite voi tante ingiurie? Valorosi soldati di un esercito tradito, vorrete voi lasciare impunita la perfidia che, oscurando la vostra gloria, ha usurpato il trono del nostro legittimo monarca? Ah no! Voi già fremete di giusto sdegno e siete già disposti a vendicare le offese fatte alla Religione, al Regno, alla Patria. […] La clemenza del nostro Re accetterà, benignamente, le sincere dimostrazioni del vostro ravvedimento. Guai però a voi, se sarete ostinati: il fulmine della giustizia, vi arriverà prima che non credete.”

G. Cingari “Giacobini e sanfedisti in Calabria”
Messina – Firenze 1957


L'operazione era stata finanziata dal Re di Napoli. In realtà Ruffo e i suoi furono accolti bene dalle genti di Calabria e Campania; i pochi oppositori furono costretti a tacere a rischio della vita. Il 14 giugno 1799 la spedizione raggiunse la capitale e ne infranse l'estrema resistenza, mentre bande di lazzaroni si scatenarono nella caccia ai giacobini, uccidendoli e saccheggiando le loro case. I napoletani, ad eccezione di poche centinaia di patrioti che si erano raccolti attorno al governo repubblicano, accolsero con felicità il ritorno “in patria” di Borbone. Ma Ruffo cercava sempre e comunque di riportare all'ordine quei sanfedisti assetati di sangue che facevano razzia dei repubblicani, e così Nelson e Re Ferdinando promossero e chiesero una punizione esemplare per i rivoluzionari repubblicani. Un centinaio di patrioti furono giustiziati con processi sommari: un martirio inaudito e spropositato rispetto al ruolo pacifico e moderato che fino a quel momento avevano svolto. Nei cinque mesi del loro governo, infatti, i borghesi e gli aristocratici repubblicani non avevano commesso alcun atto di violenza, né avevano mostrato alcuna inclinazione al terrorismo rivoluzionario, ma prevalse la rabbia vendicativa di Ferdinando IV e di Maria Carolina che odiava, gli “infami giacobini”. Eleonora Fonseca Pimentel divenne la cronista degli eventi che caratterizzarono questo periodo; la sua linea umanitaria, contraria all'uso del terrore nei confronti degli insorgenti, si realizza alla fine di maggio in occasione del pubblico incendio rituale delle insegne sanfediste, quando la temuta esecuzione di un gruppo di prigionieri si trasforma, sotto il suo sguardo narrante, in una cerimonia di riconciliazione e di affratellamento patriottico che rivela la mitezza antica dei repubblicani.
“Domenica fu finalmente eseguita la pubblica festa pel bruciamento delle bandiere vinte in varie azioni sugl'insorgenti; e si spiegarono la prima volta all'aura le bandiere donate dal Governo alla Guardia Nazionale. Intorno all'albero piantato nel largo del Palazzo Nazionale si alzava un basamento di figura quadrilunga, destinato per l'allocuzione al popolo, e per incenerirvi le cennate bandiere. […] Poscia, trascinandole per terra, furono da più individui della Guardia Nazionale portate sul basamento a piè dell'Albero le bandiere destinate all'incendio. Allora al grido cominciato da essi, e replicato da tutti di Viva la Libertà, Viva la Repubblica e Morte ai Tiranni, furono a colpi di sciabola tagliate in mille pezzi e spezzatene le aste. Parte di questi pezzi furono gettati a incenerirsi sull'ara, e parti distribuiti al popolo, che imitando e superando l'ardore della stessa Guardia Nazionale, e raddoppiando sempre i lieti gridi, si slanciava a finirli di lacerare, e da una mano passavali all'altra, facendo anzi a gara e contrasto.”
Eleonora Fonseca Pimentel
“Monitore Napoletano” 25 maggio 1799

Il massacro dei patrioti napoletani provocò la definitiva separazione del ceto colto napoletano dalla dinastia borbonica.

“Una frattura che peserà poi nelle vicende del Risorgimento e forse, cambiati i soggetti, pesa ancora”
Lucio Villari
“Bella e perduta” Laterza 2009

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