TEMA. "Il tema politico nei canti sesti delle tre cantiche"

Messaggioda valecoriandolino » 2 mag 2011, 21:14

Nella vita di Dante, indubbiamente, la politica occupò un poso di rilievo, tanto che questo tipo di tema è il principale oggetto di analisi in diverse sue opere. Fin dalla giovinezza, infatti, l'autore si sentì fortemente coinvolto negli scontri, a quel tempo all'ordine del giorno, tre guelfi e ghibellini ma sopratutto tra guelfi bianchi e neri. In Dante, nato e cresciuto nel clima della patria comunale e partecipe convinto di questo tipo di politica, percepiamo però, nel periodo successivo all'esilio, grandi cambiamenti nel suo pensiero. la sua visione politica, possiamo dire, si "amplia" progressivamente e i graduali passaggi sono evidenti nei cosiddetti canti politici della Commedia. Infatti, mentre nel VI canto dell'Inferno oggetto di critica è proprio il comune, nel VI del Purgatorio l'invettiva viene allargata a tutta la nazione, anche se ancora non se ne potrebbe parlare (la famosa apostrofe all'Italia). Per quanto riguarda il canto politico del Paradiso viene addirittura affrontato il concetto di impero attraverso le parole che Dante fa pronunciare, per l'appunto, all'imperatore Giustiniano. Altro Scritto in cui Dante esprime le sue idee su questo argomento è il De Monarchia. Famosa è in questa opera la teoria dei "due soli" secondo la quale papa e imperatore, assolutamente auto nomi l'uno dall'altro, hanno i compiti rispettivamente di condurre alla felicità spirituale il primo e alla felicità terrena il secondo. Con questa metafora Dante intendeva sottolineare l'assoluta parità dei due poteri opponendosi in modo evidente al pensiero di papa Innocenzo III che invece aveva paragonato il potere della Chiesa ad un sole e quello dell'imperatore alla luna, esprimendo chiaramente la sua idea di supremazia del papato sull'impero. Tornando ai canti della Commedia, nel VI dell'Inferno, come ho già accennato, l'autore parla della patria comunale. Il dannato protagonista in questo caso è Ciacco, un fiorentino noto per la sua golosità. ci troviamo nel terzo girone infernale dove i golosi, appunto, subiscono una pena come sempre legata al proprio peccato; difatti ,immersi nel fango, sono sbranati da Cerbero che colpiti da una continua pioggia maleodorante. Ciacco, che come tutti i dannati ha una visione "telescopica", cioè ha la facoltà di vedere il futuro, sebbene non possa sapere cosa accade nel presente, risponde alle tre domande postegli da Dante, formulando le profezie cosiddette post eventum, cioè annunciate dopo che il fatto è già avvenuto. Spiega quindi quale sarà il futuro politico della città, quali sono le cause della discordia tra i due partiti e afferma che i giusti non sono che "due" e non sono neppure ascoltati. Più interessante è invece l'invettiva che l'autore fa nel canto VI del Purgatorio contro l'Italia e in secondo luogo, naturalmente, conto Firenze. Il gesto colto da Dante per questa lunga digressione è lo spontaneo abbraccio che il trovatore Sordello da Goito, nato in un territorio circostante quello mantovano, fa a Virgilio non appena viene a sapere di essere suo conterraneo. Egli definisce l'Italia "serva", perché ha perso la sua libertà, e la descrive efficacemente con la metafora "nave sanza nocchiere in gran tempesta". Un Dante più vecchio invece trova la soluzione ideale nell'impero, suprema istituzione terrena voluta da Dio per il benessere terreno (in questo, se vogliamo, è quasi anacronistico). Nel VI canto del Paradiso il Sommo poeta ci fa capire inoltre qual è la sua visione della storia: per lui si svolge nell'ambito di un disegno divino, e tutti gli avvenimenti precedenti la nascita di Cristo sono serviti a preparare la sua venuta; la sua, quindi, è una visione provvidenzialistica. Dante pertanto si dimostra, a differenza di Petrarca che l'uomo di cultura si dovesse dedicare esclusivamente ad essa, un intellettuale tipicamente medievale.

valecoriandolino

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