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Messaggioda chuko » 19 mag 2009, 12:21

perche "non ciederci la parola" di eugenio montale puo essere considerata una dichiarazione poetica???????

chuko

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Messaggioda pabla90 » 19 mag 2009, 12:57

ho trovato questo:

POSIZIONE ALL'INTERNO DELLA RACCOLTA
Il testo occupa una posizione significativa, aprendo la sezione denominata "Ossi di seppia" (ciclo che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi "Rottami"), omonima della raccolta e dunque di per sé assai rilevante.
La particolare dislocazione non può che confermare la tesi della responsabilità di dichiarazione poetica attribuita al componimento dall'autore. Due sono i segnali inequivocabili in questo senso:

- Le dichiarazioni dello stesso Montale.
In una lettera scritta a Angelo Barile da Monterosso, il 12 luglio 1924, egli scrive: Ha ragione, il 'Non chiederci la parola…' è un po' la chiave di volta de' miei 'rondels' (allusione allo stadio dei primi 6 'ossi brevi' dei manoscritti Barile e Messina, che si chiudevano con questo componimento, ndr) e infatti li chiuderà, conclusione e commento.
Chiave di volta, conclusione, commento, dunque. Malgrado Montale abbia successivamente cambiato idea, ponendo il testo in apertura, emerge inequivocabilmente il ruolo determinante assegnato al componimento che, proprio per il fatto di rendere espliciti i termini della poetica dell'autore, non può che essere posto in apertura o a conclusione della sezione.

- La lettura del testo.
Montale non intraprende qui un discorso strettamente personale, ma si incarica di parlare a nome di una pluralità di soggetti: un gruppo? una scuola? gli autori della sua generazione? Ciò non viene chiarito ma, come vedremo, il testo contiene segnali che inducono a favore della terza ipotesi). Il discorso è condotto quindi costantemente in prima persona plurale (Non chiederCI; non domandarCI; POSSIAMO dirti): un elemento significativo, su cui sarà opportuno che i ragazzi innanzitutto si soffermino.
Del resto, gli altri accenni ad un ipotetico NOI (l'animo NOSTRO) presentano elementi di ambiguità che si prestano ottimamente ad una discussione in classe: l'animo "nostro" è quello dei poeti, ai quali i lettori chiedono la parola risolutiva, oppure "nostro" fa riferimento all'Uomo, all'umanità genericamente intesa, o quanto meno alla comunità dei lettori? Altrettanto dicasi per "non SIAMO; non VOGLIAMO": noi poeti? Noi tutti? Nella seconda ipotesi, per la quale propendiamo, le acquisizioni raggiunte dalla poesia riguardano, oltre ai lettori, i poeti stessi (contemporaneamente soggetto e oggetto della conoscenza), destinatari, assieme ai lettori, delle medesime acquisizioni: inequivocabile segnale - ne vedremo altri - del venir meno della figura del "poeta vate".
Montale stesso, in altre circostanze, ha modo di tornare sull'argomento, sottolineando la posizione non certo privilegiata da assegnare al poeta:

Se oggi sono sicuro di essere poeta? Non saprei. La poesia, del resto, è una delle tante positività della vita. Non credo che un poeta stia più in alto di un altro uomo che veramente esista, che sia qualcuno.
(Da: Intervista Immaginaria, in La Rassegna Italiana, anno I, n.1, Milano, Gennaio 1946, pagg. 84-89)

Il componimento, ovviamente, si presta ad intraprendere una specifica indagine sul ruolo attribuibile oggi alla poesia, alle ragioni della sua eventuale "sopravvivenza nell'universo delle comunicazioni di massa" (per citare una frase dal discorso tenuto da Montale in occasione della consegna del Nobel). Svilupperemo il discorso più avanti, avvalendoci delle dichiarazioni dello stesso Montale in proposito. Per il momento, comunque, la frase estrapolata da Intervista Immaginaria e sopra riportata può costituire un significativo ed utile punto di partenza.

pabla90

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