commento al V (QUINTO) canto dell'Inferno

Messaggioda irene9719 » 17 mar 2011, 9:49

COMMENTO V CANTO
L’incipit è di tipo narrativo; Dante e Virgilio scendono dal primo al secondo girone che ovviamente ha un diametro inferiore ma è fonicamente caratterizzato dai lamenti che sono l’effetto di una condizione di forte sofferenza per le anime. Le prime terzine sono semplici di significato ma efficacissime nel descrivere la condizione in cui Dante viene a trovarsi: condizione di sofferenza, condizione di lamenti peggiorata foneticamente da quel ringhiare di Minosse. Minosse figlio di Giove ed Europa magistrato di Creta. La caratteristica di questo personaggio è la fusione di maestosità, di un elemento maestoso e di un elemento grottesco; un Minosse che si cinge la coda tante volte quanti sono i cerchi in cui stabilisce l’anima sia precipitata. Secondo il mito fu celebre per la severità dei giudizi, nella letteratura classica lo troviamo come giudice dell’Ade, lo troviamo anche in Virgilio nel VI canto dove però ha un aspetto del tutto solenne. Siamo di fronte ad una dimensione fonica molto forte e in qualche modo sempre stridente. In questo luogo buio,dove riecheggiano i lamenti, si sente il vento mugghiare come fa il mare quando a causa di una tempesta è sferzato da venti contrari. Ma la bufera infernale non si quieta mai e sbatte le anima con la sua violenza soprattutto quando esse si trovano nelle vicinanze di uno scoscendimento. Questa la punizione per i lussuriosi che sottomettono la ragione al piacere,all’istinto amoroso. Come in vita si sono fatti travolgere dalla tempesta emozionale ed erotica,dalla tempesta dei sensi,ora sono travolti dalla bufera infernale. Dante vede nitidamente arrivare delle ombre ma non le descrive realisticamente ma attraverso immagini poetiche tratte dal mondo naturale,stornelli, gru, che emettono lamenti di dolore quasi ad anticipare il lamento di Francesca e infine colombe che nonostante suscitino sensazioni affettuose e delicate insinuano l’ombra del dramma della coppia qui presentata come Paolo e Francesca. Gli studiosi dicono che le tre similitudini vanno lette come un climax ascendente per grazia per leggiadria e per dignità. La più aggraziata leggiadra e dignitosa è quella delle colombe. Dante sembra così emotivamente colpito,così emotivamente partecipe a tale dramma che subisce una sorta di subbuglio interiore: proprio quell’amore che lui ha cantato è ora causa di forte sofferenza per quelle anime che non hanno saputo controllare la propria spinta istintiva il proprio istinto amoroso; si parla infatti di un coniugium amore et morte. Dante chiede a Virgilio di poter parlare con quelle due anime che procedono assieme e paiono così leggere al vento; possiamo interpretare questo leggiere o come a tal punto peccatrici che la bufera infernale li travolge e loro non possono opporre resistenza oppure leggere perché procedono insieme, perché ancora si amano e soffrono insieme la pena infernale. Francesca si abbandona da subito ad una captatio benevolentiae dicendo che = se ci fosse amico il re dell’universo= periodo ipotetico dell’irrealtà =noi lo pregheremmo per la tua pace. Forse per il modo con cui Dante si è rivolto a loro ella si mette in corrispondenza dal punto di vista linguistico col registro dantesco: grazioso e benevolo comunicano infatti una sensazione di garbo e delicatezza. Francesca da Polenta nata a Ravenna sposata pare tra il 1275 e il 1280 con Giovanni Malatesta detto il Ciotto, lo zoppo,lo sciancato signore di Rimini . Francesca è una figura femminile aggraziata alla quale Dante affida tutte le sue consapevolezze teoriche sull’amore che fondano le proprie radici del famoso trattato di Andrea Cappellano il De Amore. Si parla infatti di un amore cortese, un amore che soggiace al cuore nobile interiormente. Vediamo in questi versi tutta la partecipazione emotiva del Dante agens al dramma di questa coppia. Egli è turbato perché in lui si combatte il conflitto tra il suo essere poeta e il suo essere cristiano. Anche lui come gli altri che hanno aderito allo Stil Novo ha cantato quell’amore come mezzo di elevazione sprituale come mezzo di perfezionamento interiore; ma da cristiano non può non considerare che proprio quell’amore li ha condotti al peccato, alla morte, al “doloroso passo”. Egli pertanto colloca Paolo e Francesca,considerando l’adulterio, nell’Inferno ma non può non rimane attratto colpito ed emotivamente partecipe al dramma della coppia. Francesca è una colta lettrice di provincia, una raffinata donna di palazzo che sceglie le sue letture fra i romanzi arturiani inclini alla malinconia e alle complicanze della casistica amorosa. Nel raccontare il suo dramma ella fa riferimento all’auctoritas di un famoso exemplum,quello di Lancillotto e Ginevra quesi per richiedere una maggiore comprensione e un alibi al suo peccato. Qui però di oltrepassa un confine invalicabile: quello tra realtà e fiction, tra letteratura e fiction. Quel romanzo poteva essere letto ma non doveva tradursi in realtà. È in questo modo che capiamo il Galeotto del libro. Ilo Galeo era il siniscalco della regina colui che faceva da intermediario tra Ginevra e Lancillotto. È proprio in questo modo che il libro diventa Galeo, galeotto poiché intermediario tra i due amanti. Dante alla fine del canto sviene. Questo corpo morto ha un sapore cavalcantiano,un corpo distrutto dalla pietà e dalla compassione nonostante in lui si stia attuando un ridimensionamento. Francesca è la peccatrice che sconta la traduzione in realtà della mistificazione letteraria . Dante capisce che se in quella societas cristiana travagliata dai peccati della superbia,dell’invidia e dell’avarizia, un lettura simile poteva portare a tale dramma, beh allora forse essa non era consona per quella società alla quale di doveva invece proporre un’opera didascalica come la Commedia che è itinerarium mentis in deum.

irene9719

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Messaggioda giada » 23 mar 2011, 8:37

giada

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