analisi de "la repubblica" di platone

Messaggioda mavi94 » 17 set 2011, 20:51

LA REPUBBLICA
In questa seconda parte della Repubblica vengono portati avanti e più ampiamente discussi i temi della giustizia, delle quattro forme statali, della necessità di un governo retto da filosofi, per poi concentrarsi in modo più dettagliato sulla conoscenza e in ultimo, sul destino dell’anima dopo la morte attraverso il mito di Er.
Nel sesto libro Socrate prosegue con l'illustrazione delle caratteristiche dei filosofi, che li rendono adatti a fare i guardiani nella polis ideale. I filosofi hanno accesso ai paradigmi delle cose, cioè ai loro modelli esemplari in quanto sono esibiti o resi conoscibili teoreticamente. Questa conoscenza dà loro la possibilità di conservare o istituire, , le leggi sul bello, sul giusto e sul buono. I filosofi, amando la sapienza, tendono verso la verità e odiano la menzogna. Il loro eros è tutto indirizzato all'apprendere, infatti al filosofo, semplicemente, interessano poco le ricchezze, le meschinità e la vita stessa. Per questo sarà anche coraggioso, e dotato di armonia interiore. A questo punto Adimanto fa un’obiezione a Socrate : le persone che non praticano la filosofia solo da giovani, per motivi educativi, ma continuano a dedicarvisi, diventano “per lo più molto stravaganti”, e sono comunque del tutto inutili alla polis. L'opinione comune, in altri termini, troverebbe sconsiderata e paradossale la tesi socratica del governo dei filosofi. A questa obiezione Socrate risponde con un’immagine per chiarire l’esperienza di un anticonformista che ha idee più avanzate rispetto a quelle della società in cui vive. Si pensi a una nave, il cui capitano è più grande e più forte di tutti i marinai, ma - pur non essendo cattivo - è di vista corta, un po' sordo e inesperto di cose nautiche. I membri della ciurma stanno a litigare fra loro, contendendosi il timone, pur essendo anch'essi inesperti di marineria; anzi, affermando che quest'arte non è insegnabile, fanno continue pressioni sul comandante per ottenere il timone. Se non riescono a ottenerlo con le preghiere, ammazzano o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. E esaltano chi li aiuta in queste loro imprese trattandolo come un esperto, anche perché, pur essendo privi di techne e di pratica, pensano che l'arte del pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave. Il pilota competente, il quale sa che ci si deve preoccupare dell'"anno e delle stagioni, del cielo e degli astri", verrebbe trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole. Questa immagine può chiarire perché i migliori fra i filosofi sono considerati inutili: la loro inutilità dipende semplicemente dal fatto che la gente non ne sente il bisogno. I filosofi, dal canto loro, ritengono che non abbia senso spiegare alle persone perché mai dovrebbero assumere come proprio un bisogno che esse non avvertono. Ma l'accusa peggiore rivolta alla filosofia è che la maggior parte dei filosofi siano non solo inutili,ma malvagi. Anche questo, dice Socrate, si spiega: i caratteri migliori, se non trovano l'ambiente favorevole e non ricevono una buona educazione, rovesciano tutte le loro doti in vizi. Ciò avviene, fatalmente, quando l'educazione è dominata da sofisti - ma quanto detto può applicarsi analogamente a Isocrate - i quali insegnano, in sostanza, soltanto l'arte della manipolazione del popolo nelle assemblee, ma non offrono gli strumenti per criticare le opinioni della maggioranza e per ricercare, disinteressatamente, verità di tipo concettuale. In un simile ambiente la filosofia sarà sempre osteggiata, e si farà di tutto per allontanare da essa i giovani brillanti. Così, la filosofia rimarrà appannaggio di persone pretenziose, e solo raramente verrà praticata dai migliori. Socrate propone un suo progetto di educazione filosofica, differente da quello corrente (isocrateo) che proponeva la filosofia, come disciplina accessoria, agli adolescenti, per poi abbandonarla senza toccare la parte più difficile, la disciplina dei discorsi o dialettica. Per lui la filosofia va studiata e praticata in età più matura. L'educazione dei filosofi deve mirare alla disciplina più alta, avente come oggetto il bene.
A questo punto si rende necessaria la definizione dell'idea del bene, di cui Socrate coglie l'analogia con il sole: come il sole, pur dando vita, colore e nutrimento agli oggetti sensibili, non si identifica con essi, così il bene permette la visione del mondo intellegibile e lo trascende. Per spiegare e chiarire l’analogia utilizzata per illustrare qualcosa di sensibile, Socrate fa ricorso alla metafora della linea: una linea viene divisa in due parti , il mondo sensibile e il mondo intellegibile. A loro volta, il mondo sensibile si divide in oggetti sensibili e immagini; il mondo intellegibile in concetti scientifici e idee. A questi quattro tipi di oggetti corrispondono quattro forme di attività conoscitiva: immaginazione, credenza ( che costituiscono l’opinione), pensiero dianoetico ( pensiero discorsivo fondato su ipotesi) e intellezione ( che costituiscono la verità).
Settimo libro.
Socrate introduce ora un’allegoria molto nota, quella della caverna che contrappone il mondo passivo del sapere per sentito dire a quello luminoso e attivo della ricerca filosofica, facendo riferimento alla questione della paideia che ha il compito di operare una conversione dello sguardo, verso l’idea del bene. L'insegnamento è una techne di conversione, nel senso letterale del termine: non si tratta di dare alle persone informazioni o capacità che non possiedono, ma di indurle a voltarsi dalla parte giusta, in modo da permetter loro di far uso di una facoltà che già possiedono. Mentre le altre virtù dell'anima, come quelle del corpo, si acquistano con l'abitudine e l'esercizio, la capacità di discernere è una dote personale che non perde mai la sua virtù.
I filosofi devono essere educati in modo tale che la loro anima sia attratta dal mondo di ciò che è. La ginnastica e mousiké non possono svolgere questa funzione, perché si limitano a conferire armonia e buone abitudini. D'altro canto, le discipline che si insegnano devono essere connesse con la cittadinanza, e dunque devono essere utili dal punto di vista bellico. Egli individua quindi come prima materia l’aritmetica che aiuta a capire che l'unità di cui si parla non è una singola cosa sensibile, in se stessa divisibile, ma una costruzione del pensiero. Chi ha una abilità nel calcolo, naturale o acquisita, acquisisce prontezza anche in tutte le altre discipline. La seconda disciplina è la geometria, se coltivata in funzione della conoscenza di ciò che perennemente è, e non per scopi pratici. La terza disciplina è l'astronomia, come studio del movimento dei corpi dotati di profondità (stereometria). Anche qui, occorre ricordare che l'aspetto educativo non è la conoscenza empirica del movimento degli astri, che non è necessariamente regolare e immutabile, ma l'uso dei corpi celesti come esempi che diano spunto ad elaborazioni concettuali. La quarta disciplina è la scienza dell’armonia, che si occupa del moto armonico nella prospettiva dell'udito. Queste discipline fungono da preludio alla dialettica . La dialettica, a differenza delle altre discipline, che sono parziali e danno per scontate le ipotesi che le introducono, si occupa di ciò che è, cioè della struttura concettuale del reale, e, eliminando le ipotesi, procede verso il principio (arché), per confermare le proprie conclusioni. Socrate, tuttavia, nel corso della sua conversazione con Glaucone, fa emergere la propria consapevolezza su come i più ritengano inutili le discipline introduttive, se non vengono insegnate per finalità pratiche, ma per far comprendere il senso degli strumenti concettuali di cui si valgono. Ribadisce infatti che l'educazione filosofica non va intesa come trasmissione di informazioni e addestramento, ma come stimolo ad orientarsi, da sé, nel pensiero. Quello che i pratici danno per scontato, i filosofi sanno metterlo in discussione. E per questo acquisiscono una capacità di imparare che manca a coloro che vengono formati sul modello di una professionalità specializzata in qualcosa che, al momento, appare utile.
Nell’ottavo libro Socrate presenta le quattro forme di governo :timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide. La timocrazia nasce dal conflitto fra chi ha sete di guadagno e chi ama le antiche istituzioni, che verrà risolto privatizzando e spartendo la terra e riducendo i semplici cittadini a servi. Si forma così la timocrazia, che conserva, della costituzione precedente, l'onore per i magistrati e la vita comunitaria dei guerrieri, ma è dominata non da filosofi, ma da uomini rozzi, che si preoccupano solo della guerra e della ginnastica. La città è dominata dall'elemento "irascibile" e dunque da uomini avidi di timé, e, nascostamente, anche di ricchezze (soprattutto da vecchi) e piaceri. Il tipo di uomo che corrisponde a questo governo, sarà quindi un uomo ambizioso e superbo.
L’oligarchia invece, cioè la costituzione fondata sul censo, nella quale i ricchi comandano, e il povero non ha parte nel potere, è determinata dalla segreta avidità di denaro dell'uomo timarchico. Sulla base dell’emulazione i timarchici sostituiranno gradualmente la sete di onore con la sete di denaro. La costituzione oligarchica stabilisce, , un criterio censitario per l'accesso alle cariche pubbliche e al governo della città. La città oligarchica sarà governata da una minoranza, più o meno numerosa a seconda della soglia del censo fissata come criterio per attribuire i diritti politici. Un mondo in cui l'economia è pensata come decisiva è fatalmente un mondo oligarchico. Il tipo di uomo oligarchico è colui nel quale dominerà la parte appetitiva dell’anima: grande lavoratore e risparmiatore, sarà una persona gretta e meschina, assolutamente disinteressata a pratiche antieconomiche come la paideia, o coltivazione di sé. Gli affaristi al potere nei regimi oligarchici non pongono ostacoli all'indebitamento e all'impoverimento dei concittadini, che va, almeno immediatamente, a loro vantaggio. Questo condurrà alla creazione di una plebe, numerosa, giovane e forte, che si ribellerà ai ricchi, pochi, anziani e deboli. Nasce, così, la democrazia. In questa costituzione i cittadini sono liberi e fanno e dicono ciò che vogliono; regna la massima tolleranza, anche perché nessuno si preoccupa dell'educazione morale. L’uomo democratico sarà di conseguenza affascinante e versatile, invidiabile ai più , avendo in sé i più svariati tipi di costituzioni e caratteri. La transizione della democrazia in tirannide è dovuta al fatto che il demos,in quanto elemento decisivo della democrazia, è continuamente sottoposto a manipolazioni, per cui i ricchi cercheranno di proteggere le proprie sostanze e il demos si farà proteggere da qualche capo in grado di attirare l’attenzione collettiva. Ed è questo il germoglio della tirannide. La sua posizione infatti lo renderà assetato di potere che userà per vendette personali, o per uccidere persone migliori di lui. Una volta divenuto tiranno, cercherà di mostrare un volto affabile verso i concittadini, e susciterà guerre, per legittimarsi come capo e impoverire o sopprimere i suoi nemici interni. Si circonderà di mediocri, che staranno con lui per viltà o per sete di guadagno. E si varrà dei poeti per manipolare l'opinione pubblica.
Nel Nono libro Socrate si sofferma a descrivere e a criticare il carattere tirannico come attributo individuale. La trattazione è molto estesa, perché vuole contrapporsi ad una opinione comune fra i contemporanei di Platone: il tiranno è la persona più felice perché può fare quello che vuole. Fra i nostri desideri , ce ne sono alcuni di selvaggi e di ferini. Questi desideri si manifestano nei sogni, quando l'elemento razionale e civile che ci governa dorme, e quello ferino e selvaggio si scatena. Ed esistono perfino nelle persone apparentemente normali e misurate. L’uomo tirannico – come lo stato tirannico, è schiavo, povero , pieno di paura. A sottolineare ulteriormente l’infelicità del tiranno Socrate fa riferimento alla tripartizione dell’anima, secondo cui ogni sua parte ha il proprio tipo di piacere.
Egli propone un'immagine dell'anima, in modo da render chiaro il senso della sua struttura tripartita. Nell'anima si trova, in primo luogo, un mostro variopinto e multiforme, con tante teste di animali mansueti e feroci; in secondo luogo un leone, e in terzo luogo un uomo, più piccolo del leone. Queste tre creature crescono insieme, ma sono racchiuse da un involucro a forma di uomo, che non lascia vedere la tripartizione interna. Chi sostiene che l'ingiustizia sia vantaggiosa, sostiene anche che, nell'anima, devono prevalere il mostro e il leone, rendendo debole l'uomo. Chi loda la giustizia vuole che l'uomo interiore renda il leone suo alleato e domi il mostro; vuole, cioè, che in ciascuno ci sia un reggitore saggio e divino, e non irrazionale e bestiale.
La ripetizione dell'immagine dell'uomo, come involucro complessivo esterno e come uno dei principi interni all'anima, serve per dirci che la razionalità e la coerenza della persona non sono un dato naturale o metafisico, ma sono frutto di una costruzione e di un impegno morale. Un discorso analogo si può fare anche per la città, che si fonda su un ideale di moralità dei singoli, in modo tale che le doti di ciascuno possano distribuirsi a tutti.
Nel decimo e ultimo libro Socrate sente il bisogno di riprendere la critica alla mimesis (imitazione) già esposta nel III libro, in connessione con la teoria della tripartizione dell'anima. La discussione torna sulla poesia e l'imitazione, e si opera la distinzione teoretica tra le idee, gli oggetti sensibili e gli oggetti dell'arte. Il poeta e il pittore imitano gli oggetti sensibili, ovvero ciò che è come appare: la loro arte, imitazione dell'apparenza, è perciò tre gradi lontana dalla verità. L'imitatore non ha né scienza né retta opinione di ciò che imita; l'arte genera illusione e si rivolge alle passioni e alle parti inferiori dell'anima, come dimostrano gli effetti negativi che la poesia tragica e comica produce sugli spettatori. Così Omero, e più in generale la poesia, vanno banditi dalla città ideale. L'accenno alle ricompense assegnate alla virtù dopo la morte offre a Socrate l'aggancio per dimostrare l'immortalità dell'anima. Innanzi tutto l'anima non perisce né per il male suo proprio, cioè l'ingiustizia, né per il male altrui, cioè del corpo. Il numero delle anime non è soggetto a variazioni. La composizione dell'anima è perfetta, ma la si può contemplare nella sua purezza solo dopo che si è staccata dal corpo. Si passano infine in rassegna i premi concessi alla virtù e alla giustizia dagli uomini nella vita terrena e dagli dèi in quella ultraterrena. L'opera si conclude con il mito di Er, che in una grandiosa rappresentazione della struttura dell'universo, governato da una perfetta armonia, descrive il giudizio cui le anime vengono sottoposte nell'aldilà e la loro reincarnazione. [Leggere conclusione]

mavi94

Utente GOLD
Utente GOLD
 
Risposte:

Messaggioda *Yole* » 18 set 2011, 12:46

hai guadagnato 1 credito

*Yole*

Utente GOLD
Utente GOLD
 

Torna a Temi, analisi poesie, Appunti scuola

Copyright © 2007-2024 SkuolaSprint.it di Anna Maria Di Leo P.I.11973461004 | Tutti i diritti riservati - Vietata ogni riproduzione, anche parziale
web-site powered by many open source software and original software by Jan Janikowski 2010-2024 ©.
All trademarks, components, sourcecode and copyrights are owned by their respective owners.

release check: 2024-03-28 15:31:23 - flow version _RPTC_G1.3