BIOGRAFIA DIALESSANDRO MANZONI

Messaggioda tucano » 24 set 2011, 12:02

alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro, un uomo di mediocre cultura, ricco possidente del contado di Lecco e da Giulia Beccaria, figlia del giurista Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell’Illuminismo lombardo, l’autore de Dei delitti e delle pene. In realtà — secondo un’ipotesi oggi comunemente accettata — Manzoni ebbe come padre naturale Giovanni Verri, che fu amante della madre. I genitori del Manzoni si separarono quando egli era ancora molto giovane. Per questo motivo dovette trascorrere l’infanzia e la prima giovinezza, fino al 1801, in collegi di padri Somaschi (prima a Merate, poi a Lugano) e Barnabiti (a Milano), dove ricevette un’educazione classica, ma subì anche l’arido formalismo e la regola tipica di quegli ambienti.
Quando uscì dal collegio aveva sedici anni e idee razionaliste e libertarie. Si inserì presto nell’ambiente culturale milanese del periodo napoleonico, strinse amicizia con i profughi napoletani Cuoco e Lomonaco, frequentò poeti già affermati e noti come Foscolo e Monti. Trascorse questo periodo lietamente, tra il gioco e le avventure galanti, ma dedicandosi anche al lavoro intellettuale e alle composizioni poetiche: l’esempio più illustre è rappresentato dal poemetto Trionfo della libertà. Deluso dal giacobinismo scrisse sonetti e idilli, il più maturo dei quali sembra essere Adda (1803).
L’anno successivo terminò la stesura di quattro Sermoni: Amore a Delia, Contro i poetastri, Al Pagani, Panegirico a Trimalcione, composizioni satiriche ricche di echi pariniani e alfieriani. Nel 1805 lasciò la casa paterna e raggiunse la madre a Parigi. Carlo Imbonati, compagno della madre dopo la separazione, era ormai morto. In suo ricordo, Manzoni scrisse un carme in 242 versi sciolti, intitolato In morte di Carlo Imbonati. Egli non aveva mai avuto un rapporto stretto con la madre, ma tra loro si creò ben presto una affettività intensa, che fu destinata a cambiare la vita dello scrittore. A Parigi frequentò ambienti intellettuali popolati da personaggi come Cabanys, Thierry, Tracy, di posizioni liberali e forte rigore morale. Il rapporto più importante, però, per Manzoni fu quello stretto con Claude Fauriel: attraverso un fitto scambio epistolare durato qualche anno, a poco a poco, questi divenne per il giovane Manzoni un importante punto di riferimento nella sua attività di scrittore.
A Parigi, il contatto con ecclesiastici di orientamento giansenista incise anche sulla conversione religiosa. Sul suo ritorno alla fede cattolica, Manzoni mantenne sempre un certo riserbo e, per questo motivo, è quasi vano tentare di ricostruirne le fasi interiori. Dovette essere importante l’influsso della giovane moglie, Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino, conosciuta a Blevia sulle colline bergamasche. Anche la Blondel subì un rivolgimento interiore significativo: sotto la guida dell’abate genovese Eustachio Degola, si avvicinò al cattolicesimo e fece battezzare col rito romano la primogenita Giulia Claudia, convincendo il marito, in seguito, a risposarsi con rito cattolico. Precedentemente, infatti, il loro matrimonio era stato celebrato con rito calvinista. È da dire che, in Manzoni, la conversione si accompagnò al primo manifestarsi di certe crisi nervose, che poi lo angustiarono per tutta la vita.
Nel 1810 lo scrittore lasciò Parigi per tornare definitivamente a Milano. La sua visione della realtà era ormai completamente improntata al cattolicesimo. Il mutamento si ripercosse anche sulla sua attività letteraria: smise di comporre versi dal tono classicheggiante, (l’ultimo esemplare rimane Urania, un poemetto del 1809) per dedicarsi alla stesura degli Inni sacri ( 1812-1815), che aprirono la strada ad una successiva produzione di stampo romantico, oltre che storico e religioso.
Una volta tornato in Italia, poi, Manzoni condusse la vita del possidente, dividendosi tra la casa milanese e la villa di Brusuglio. La sua esistenza fu dedicata allo studio, alla scrittura, alle intense pratiche religiose, alla famiglia che, nel frattempo, diveniva numerosa. Fu vicino al movimento romantico milanese e ne seguì tutti gli sviluppi (un gruppo di intellettuali si riuniva a discutere a casa sua), ma non partecipò mai, direttamente, alle polemiche con i classicisti e declinò l’invito a partecipare al «Conciliatore».
Anche nei confronti della politica ebbe un atteggiamento analogo, di sinceri sentimenti patriottici e unitari, seguì con entusiasmo gli avvenimenti del 1820-1821, ma non vi partecipò attivamente e non venne colpito dalla dura repressione austriaca che ne seguì. Sono questi gli anni di più intenso fervore creativo, in cui nacquero le odi civili, la Pentecoste, le tragedie (Il conte di Carmagnola, Adelchi), le prime due stesure de I promessi Sposi (inizialmente intitolato Fermo e Lucia), oltre alle Osservazioni sulla morale cattolica, al Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, ai saggi di teoria letteraria sulle unità drammatiche e sul Romanticismo.
Con la pubblicazione de I promessi sposi nel 1827, si può dire concluso il periodo creativo di Manzoni. Successivi tentativi lirici, come un inno sacro sull’Ognissanti, rimangono incompiuti. Manzoni tese sempre più a rifiutare la poesia considerata “falsa” rispetto al “vero storico e morale”. Conseguentemente, approfondì interessi filosofici, storici e linguistici. L’amicizia con Claude Fauriel venne sostituita da quella con Antonio Rosmini, un filosofo cattolico, che presto divenne la sua guida spirituale. Negli anni della maturità, la vita di Manzoni fu funestata da crisi epilettiche, una serie interminabile di lutti (la morte della moglie, della madre, di parecchi dei figli) e dalla condotta dissipatrice dei figli maschi. Nel 1837 si risposò con Teresa Borri Stampa, che morì poi nel 1861.
Scrivendo nel 1842 Storia della colonna infame, Manzoni evita qualsiasi spunto narrativo, rimettendo in questo modo al lettore, posto di fronte alla crudezza di quanto accaduto, ogni giudizio. Il saggio è una cronaca asciutta e distaccata dei fatti che si svolsero intorno al processo ai presunti untori che ebbero la sfortuna di essere accusati di aver propagato la peste che sconvolse Milano nel XVII secolo
Ormai lo scrittore era divenuto un personaggio pubblico, nonostante il suo atteggiamento sempre schivo e appartato. Durante le Cinque giornate, nel 1848, seguì con vigore gli eventi politici, pur senza parteciparvi attivamente e diede alle stampe Marzo 1821, per anni tenuta nascosta. Quando il regno d’Italia si ricostituì nel 1860, fu nominato senatore. Pur essendo profondamente cattolico, era contrario al potere temporale della Chiesa, e favorevole a Roma capitale. Nel 1861, infatti, votò a sfavore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, come tappa intermedia verso Roma. Nel 1872, dopo la conquista della città da parte delle truppe italiane, ne accettò la cittadinanza onoraria, con scandalo degli ambienti cattolici più retrivi. Negli anni della sua lunga vecchiaia fu circondato dalla venerazione della borghesia italiana, che vedeva in lui non solo il grande scrittore, ma anche un maestro, una guida intellettuale, morale e politica. Soprattutto il suo romanzo fu assunto nella scuola con tale funzione.
Morì a Milano nel 1873, a ottantotto anni, nella casa di via del Morone, in seguito a una caduta che gli aveva provocato gravi sofferenze per due mesi. Gli furono tributati solenni funerali, alla presenza del principe ereditario Umberto. Verdi gli dedicò la sua Messa da Requiem al primo anniversario dalla morte. Fu sepolto nel cimitero monumentale della città.

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Messaggioda giada » 24 set 2011, 12:23

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Messaggioda Elenacap95 » 10 ott 2011, 16:54

Alessandro Manzoni, nome completo Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873), fu uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano.

È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana.

Fu senatore a vita del Regno d'Italia.

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Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni, figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante - imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro.

I suoi primi due anni di vita li trascorre nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene educato in collegi religiosi; dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Merate e Lugano (ebbe come insegnante Francesco Soave), poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da tali studi gli deriva una buona formazione classica e il gusto per la letteratura. Nel 1799 sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose e universali.

Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo e ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.

Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) e assiste all'evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche.

Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario; l'altro, invece, un carme commemorativo in endecasillabi sciolti, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, tra cui la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.

Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca prima ancora che Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non scriverà più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale la poesia non deve essere destinata a una élite colta e raffinata, bensì deve essere di interesse generale e interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento e a una controllata espressione formale, caratteristica del romanticismo italiano.


Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.
Nel 1811, già anticlericale per reazione all'educazione ricevuta e indifferente, più che agnostico o ateo, riguardo al problema religioso, Manzoni si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinista Enrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di 10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro a un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[1].

Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la fermezza intellettuale.

La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste, ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre a un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia) in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.

Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto di Manzoni, a cui lascerà questo testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere.

Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, tra cui la villa di famiglia del Caleotto dove aveva trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza. Intendeva trasferirsi definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma dovette aspettare un anno poiché le autorità austriache gli negarono il passaporto.

Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d'un mese di Sophie de Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867), che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano.

Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su una importante rivista letteraria lo criticò severamente; dall'altro lato fu addirittura Goethe a replicare in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.

La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni e il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici, nei quali cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.

Intanto, con l'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti (ma di recente critici come Enzo Raimondi[2] vedono nel Manzoni stesso la fonte letteraria del personaggio), iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I promessi sposi,ambientato nei luoghi lecchesi della sua infanzia, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1823 e il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando a un tratto grande fama letteraria all'autore.

Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda ricorda quella dell'amica d'infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale nel 1830 comporrà l'epitaffio tombale presso lo storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino in Muggiò (Milano).

In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827, in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. L'11 dicembre 1827 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca[3]. Rielaborò I promessi sposi dopo la "risciacquatura in Arno"[4] facendo uso dell'italiano nella forma fiorentina colta e nel 1840 pubblicò questa riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico.


Tomba di Alessandro Manzoni nel Cimitero Monumentale di Milano.
Sul piano privato, la perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli, tra cui la primogenita Giulia, già moglie di Massimo D'Azeglio, della madre e dell'amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò Teresa Borri (11 novembre 1799 - 23 agosto 1861), vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse anche a quest'ultima. Dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.

Nel 1860 fu nominato senatore del Regno: con questo incarico votò nel 1864 a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, una breve relazione sulla lingua italiana: Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla.

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Messaggioda *Yole* » 11 ott 2011, 10:55

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