Vita in breve di Livio Andronico

Messaggioda Lammarco » 28 nov 2011, 14:24

Livio Andronìco (in latino: Livius Andronīcus; Taranto, 280 a.C. circa – 200 a.C. circa) è stato un poeta, drammaturgo e attore teatrale romano. Nelle fonti antiche è con frequenza indicato semplicemente con il nomen Livio, che trasse, una volta divenuto liberto, dalla gens cui era entrato a far parte giunto a Roma; mantenne sempre, assumendolo come cognomen, il suo nome greco di Andronìco; le fonti antiche attestano, inoltre, il nome di Lucio Livio Andronìco.

Di nascita e cultura greca egli fece rappresentare a Roma nel 240 a.C. un dramma teatrale che è tradizionalmente considerato la prima opera letteraria scritta in lingua latina. Compose in seguito numerose altre opere, probabilmente traducendole da Eschilo, Sofocle ed Euripide. Con l'intento di avvicinare i giovani romani allo studio della letteratura, tradusse in versi saturni l'Odissea di Omero.

Gli scarsi frammenti rimasti della sua opera permettono di rilevarne l'influenza dalla coeva letteratura ellenistica alessandrina, e una particolare predilezione per gli effetti di pathos e i preziosismi stilistici, successivamente codificati nella lingua letteraria latina. Anche se la sua Odusia rimase a lungo in uso come testo scolastico, la sua opera fu considerata in età classica come eccessivamente primitiva e di scarso valore, tanto da essere generalmente disprezzata.
Andronìco nacque, nella prima metà del III secolo a.C., in Magna Grecia, ma sulla sua infanzia e giovinezza non si ha alcuna informazione precisa e attendibile.[4][11] Si ritiene che sia nato esattamente a Taranto, fiorente colonia greca, attorno al 280 a.C., probabilmente nel 284 a.C.;[12][13][14] secondo la tradizione, venne poi condotto a Roma come schiavo quando la sua città natale fu conquistata, intorno al 275-270 a.C., probabilmente nel 272 a.C.[13] Il racconto tradizionale risulta tuttavia piuttosto improbabile: Andronìco sarebbe stato deportato a Roma ancora fanciullo, all'età di otto anni circa, e non avrebbe avuto la possibilità di acquisire quelle competenze letterarie che gli consentirono in seguito di guadagnarsi in Roma un ruolo culturale di elevato prestigio.[12] L'unica fonte a suggerire il rapporto di Andronìco con Taranto era un'opera del tragediografo latino Lucio Accio,[15] nato nel 170 a.C. e attivo per tutto il II secolo a.C. e nei primi anni del I: egli asseriva, erroneamente, che Andronìco fosse stato portato a Roma quando i Romani riconquistarono Taranto, che si era ribellata al loro dominio, durante la seconda guerra punica, nel 209 a.C.[12] Il racconto, seppur errato, di Accio è confermato dall'opera di san Girolamo,[16] tarda e poco attendibile, e dai versi del poeta latino Porcio Licino:[12]
(LA)
« Punico bello secundo Musa pinnato gradu
intulit se bellicosam in Romuli gentem feram. »
(IT)
« Durante la seconda guerra punica, la Musa, con incedere alato,
si introdusse tra la bellicosa e rozza stirpe di Romolo. »
(Frammento 1 Courtney)

Com'era consuetudine per coloro che venivano catturati in guerra, Andronìco divenne schiavo di una delle più importanti famiglie romane, la gens Livia, ricadendo, secondo un'altra tradizione forse errata riportata da san Girolamo,[12][16] sotto l'autorità di pater familias dell'autorevole Marco Livio Salinatore. Dopo essere divenuto liberto, probabilmente per i suoi meriti di precettore,[17] mantenne il suo nome greco come cognomen e assunse il nomen del suo ex padrone, Livio. Conoscitore del greco e della letteratura greca, che aveva appreso in patria, egli volle introdurre il patrimonio culturale dell'Ellade a Roma: effettuò infatti delle vere e proprie trascrizioni di opere greche in lingua latina, che aveva appreso dopo l'arrivo nella stessa Roma, e svolse per anni, come più tardi avrebbe fatto Quinto Ennio, l'attività di grammaticus, impartendo lezioni di latino e greco ai giovani delle nobili gentes patrizie.[17] Gli appartenenti alle classi più elevate iniziavano infatti a comprendere i numerosi e considerevoli vantaggi che la conoscenza del greco avrebbe portato a Roma, e dunque favorivano l'attività nell'Urbe di maestri di lingua e cultura greca.[12]

Nel 240 a.C. ad Andronìco fu affidato, probabilmente dagli edili curuli,[18] l'incarico di comporre un'opera teatrale che fu rappresentata in occasione dei ludi scaenici che si tennero in occasione della vittoria di Roma su Cartagine nella prima guerra punica;[19] risulta probabile che si sia trattato di un'opera tradotta da un originale greco, ma non è possibile determinare se tragedia o commedia.[3][12][15][20] In seguito, Andronìco continuò a riscuotere un notevole successo, scrivendo drammi teatrali dei quali, come divenne grazie al suo stesso esempio consuetudine per gli autori contemporanei,[21] fu anche attore:[19]
(LA)
« Liuius, [...] suorum carminum actor, dicitur, cum saepius reuocatus uocem obtudisset, uenia petita puerum ad canendum ante tibicinem cum statuisset, canticum egisse aliquanto magis uigente motu quia nihil uocis usus impediebat. »
(IT)
« Livio Andronìco fu attore dei propri drammi; si dice che una volta, quando, richiamato più volte in scena, era rimasto senza voce, chiesto il permesso, stabilì di far cantare davanti al flautista in sua vece un ragazzo,[22] mentre lui eseguì la monodia con una gestualità notevolmente più espressiva, poiché non era impedito dall'uso della voce. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 2, 8-9.)

Nel 207 a.C., durante la seconda guerra punica, per allontanare la minaccia del cartaginese Asdrubale che marciava verso il sud d'Italia in soccorso del fratello Annibale e guadagnare l'aiuto divino con cui sconfiggere i nemici, i pontifices e il senato romano incaricarono Andronìco, che aveva acquisito una grande fama, di scrivere un carmen propiziatorio per Giunone, l'inno a Iuno Regina. Alla luce dell'occasione per cui il testo fu composto, è probabile che si trattasse di una "preghiera a carattere formulare e rituale, di significato prettamente religioso, nella forma di un partenio greco";[13] del testo non rimane alcun frammento. Nel descrivere la cerimonia d'espiazione in onore di Giunone, lo storico Tito Livio si sofferma a parlare dell'Inno:
(LA)
« Ab aede Apollinis boues feminae albae duae porta Carmentali in urbem ductae; post eas duo signa cupressea Iunonis reginae portabantur; tum septem et uiginti uirgines, longam indutae uestem, carmen in Iunonem reginam canentes ibant, illa tempestate forsitan laudabile rudibus ingeniis, nunc abhorrens et inconditum si referatur; uirginum ordinem sequebantur decemuiri coronati laurea praetextatique. A porta Iugario uico in forum uenere; in foro pompa constitit et per manus reste data uirgines sonum uocis pulsu pedum modulantes incesserunt. Inde uico Tusco Uelabroque per bouarium forum in cliuum Publicium atque aedem Iunonis reginae perrectum. Ibi duae hostiae ab decemuiris immolatae et simulacra cupressea in aedem inlata. »
(IT)
« Dal tempio di Apollo due mucche bianche furono condotte in città attraverso la porta Carmentale; dietro di esse venivano portate due statue di Giunone Regina, di legno di cipresso; poi le ventisette vergini indossanti una lunga veste, procedevano cantando l'inno a Giunone Regina, certamente in quel tempo bello per intellettuali poco affinati, adesso incredibile e rozzo se fosse qui riprodotto; i decemviri coronati d'alloro e con indosso la pretesta seguivano la processione delle vergini. Dalla porta arrivarono nel Foro per il vico Iugario. Nel Foro il corteo si fermò e le fanciulle, tenendo per le mani una corda, sfilarono modulando il ritmo del canto col battito dei piedi. Poi si continuò per il vico Tusco e il Velabro, attraverso il Foro Boario fino alla salita Publicia e al tempio di Giunone Regina. Ivi le due vittime furono sacrificate dai decemviri e le statue in legno di cipresso furono trasportate nel tempio. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXVII, 37, 11-15; trad. di L. Fiore, UTET, Torino 1981.)

È tuttavia significativo notare come l'inno fu scritto dietro commissione statale, e non fu dunque una spontanea espressione dell'arte del poeta: la realizzazione della preghiera fu affidata a Livio per via della fama di cui egli godeva, ma anche per i rapporti che lo legavano al console Marco Livio Salinatore, che era incaricato di affrontare l'esercito cartaginese di Asdrubale.[13] L'esercito romano si scontrò dunque con quello nemico in una sanguinosa battaglia presso il fiume Metauro, dove i legionari romani ottennero la vittoria infliggendo ingenti perdite ai nemici e distruggendone l'intero corpo di spedizione.

Dopo la vittoria di Livio Salinatore, ad Andronìco furono concessi dallo stato riconoscente grandissimi onori, come quello di poter abitare presso il tempio di Minerva sull'Aventino, a testimonianza dello stretto legame che intercorreva tra la religione e l'attività poetica. Nella stessa occasione fu inoltre istituito, con sede presso il tempio stesso, il collegium scribarum histrionumque, un'associazione di tipo corporativo che riuniva gli attori e gli autori delle rappresentazioni drammatiche allora presenti in Roma.[21] Livio Andronìco morì in data sconosciuta, probabilmente nel 204 a.C.,[14] ma certamente prima del 200 a.C., quando la composizione di un nuovo inno sacro fu affidata a un altro autore;[12][13] negli ultimi anni della sua vita si dedicò all'opera di traduzione integrale dell'Odissea di Omero, intenzionato a creare un libro di testo su cui si potessero formare i giovani romani delle generazioni successive.
Opere [modifica]

Lammarco

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Messaggioda *Yole* » 28 nov 2011, 14:38

ok grazie

*Yole*

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