Aristotele- psicologia,gnoseologia,etica

Messaggioda sarahmiryam » 28 nov 2011, 15:40

PSICOLOGIA E GNOSEOLOGIA

1. L'anima e le sue funzioni

La psicologia, per Aristotele, è una parte della fisica. Essa studia l'ANIMA.
L'anima è dunque una sostanza che informa e vivifica un determinato corpo. Essa è de¬finita da Aristotele come “l'atto finale [entelécheia] primo di un corpo che ha la vita in potenza», ossia come la forma, o facoltà, la quale fa sì che il corpo, vita in potenza, risul¬ti vita in atto.
Questa concezione dell'anima come forma del corpo implica, da parte di Aristotele, il ri¬fiuto di due principali modelli:
a) il modello naturalistico-materialistico, il quale vedeva nell'anima una sorta di "materia sottile",
b) il modello orfico-pitagorico, che concepiva l'anima come una sostanza a sé stante e immortale.
a) Contro i materialisti Aristotele fa valere l'idea dell'anima come principio o struttura formale,
b) contro gli orfico-pitagorici sottolinea la connessio¬ne anima-corpo, perciò l’anima non è “separabile” dal corpo, con l’eccezione dell’intelletto attivo. Pur non riducendosi a corpo, secondo Aristotele l'anima opera soltanto a contatto con il corpo.
Aristotele distingue tre funzioni fondamentali dell'anima:
1) la FUNZIONE VEGETATIVA, che presiede alla nutrizione e alla riproduzione ed è propria di tutti gli esseri viventi, a cominciare dalle piante;
2) la FUNZIONE SENSITIVA, che comprende la sensibilità (cioè: provare sensazioni e desiderare) e il movimento ed è propria degli animali e dell'uomo;
3) la FUNZIONE INTELLETTIVA, che è propria dell'uomo e grazie alla quale l’uomo può pensare, ragionare, parlare…

2. Sensibilità, immaginazione e intelletto

Per Aristotele tutta la conoscenza nasce dai sensi: l'intelletto non po¬trebbe apprendere nulla se i sensi non gli offrissero la materia da elaborare e strutturare.
Nel trattato Sull'anima è molto chiaro a questo proposito:
“Nes¬suno potrebbe imparare e intendere nulla se non apprendesse nulla con i sensi; e tutto quanto si pensa si pensa necessariamente con imma¬gini”.
Secondo il filosofo, il processo conoscitivo si svolge attraverso tre stadi tra loro strettamente congiunti:
a) al primo stadio si colloca la CONOSCENZA SENSIBILE, che deriva dai CINQUE SENSI: l'udito, la vista, il gusto, l'odorato, il tatto (che è dif¬fuso in tutto il corpo e costituisce il senso basilare), i quali ci permet¬tono di provare le varie sensazioni.
Vi è poi il SENSO COMUNE, a cui Aristotele attribui¬sce una duplice funzione:
- quella di costituire la coscienza della sensazione, cioè di "sentire di sentire", funzione che non può appartenere ad alcun senso particolare;
- quella di percepire le determinazioni sensibili comuni a più sensi, come il movi¬mento, la quiete, la figura, la grandezza, il numero e l'unità; quindi di collegare i dati qualitativamente differenti provenienti dalle sensazioni.
b) al secondo stadio si colloca l'IMMAGINAZIONE, che è la facoltà di produrre, evocare o combi¬nare IMMAGINI o RIPRODUZIONI MENTALI indipendentemente dagli oggetti cui esse si riferiscono.
Si tratta di immagini che, pur derivando dalle impressioni sensoriali o sensazioni, permangono in noi anche dopo che l'oggetto che le ha provocate è scomparso (in quanto l'immagine è una sorta di traccia, o memoria, lasciata nell'anima dalia sensazione) e, pertanto, sono autonome rispet¬to alle cose sensibili.
Strettamente legata a questa facoltà è la ME¬MORIA, che consente di conservare i ricordi delle sensazioni e delle immagini venendo a costituire la materia su cui si esercita l'attività dell'intelletto.
c) all'ultimo stadio, quello più elevato e tipicamente umano, si pone la CONOSCENZA INTELLETTIVA (rif. alla funzione intellettiva dell’anima).
Tale facoltà agisce sulle immagini, ricavate a loro volta dalla sensibilità, astraendo da esse la FORMA INTELLIGIBILE, ovvero il CONCETTO UNIVERSALE.
Infatti l'universale (forma/concetto) sarebbe destinato a non venire mai alla luce, se non intervenisse l'intelletto. Quest'ultimo, lavorando sui dati offerti dalla sensibilità e dall'imma¬ginazione (Aristotele è un convinto anti-innatista), riesce a cogliere, con un processo di astrazione, la forma, o sostanza intelligibile, delle cose, ossia riesce a costruire i concetti universali su cui si basa tutta la nostra conoscenza.
Per fare un ESEMPIO, nell'immagine sensibile particolare dell'animale che ho esperito e che ho impressa nella memoria dove giacciono altre immagini simili con cui confron¬tarla, l'intelletto riesce a intuire il concetto universale di "cavallo", cioè a individuarne la forma/concetto (ciò che lo caratterizza al di là degli aspetti contingenti), permettendomi di classificarlo e riconoscerlo come tale.
Tuttavia:
- poiché il concetto esiste nel sensibile (da cui deve venire astrat¬to) solo a livello potenziale,
- poiché l'intelletto (INTELLETTO POTENZIALE O PASSIVO), in quanto tabula rasa, è pura capacità o potenza di cogliere tali concetti che sono in potenza nelle cose,
- occorrerà l’INTELLETTO ATTUALE O ATTIVO, ovvero una facoltà che contiene in atto tutte le verità e tutti gli intelligibili, che faccia passare in atto le verità o i concetti universali che sono solo in potenza nelle cose e nell’intelletto passivo.
L'intelletto attivo, spiega Aristotele, agisce sull'intelletto passivo in modo analogo a quello in cui agisce la luce sui colori:
- così come quest'ultima fa passare all'atto i colori che nell'oscurità sono solo in potenza, permettendo alla vista di vedere,
- allo stesso modo l'intelletto attuale fa passare in atto le verità o i concetti che nell'intelletto potenziale risultano solo in potenza, permettendo a quest'ultimo di passare dalla non-conoscenza alla conoscenza.
Perciò è detto da Aristotele "attivo" ed è considerato “separato, impassibile, non commisto” (Sull'anima).
L’intelletto attivo è immortale ed eterno, mentre l'intelletto passivo, o potenziale,è mortale e corruttibile.


RIEPILOGO DELLA CONOSCENZA INTELLETTIVA
L'INTELLETTO, tuttavia, a un primo livello è solo "PASSIVO", cioè ha soltanto la "possibilità" di cogliere l'universale; esso è come un foglio bianco su cui non abbiamo ancora scritto nulla, che può acco¬gliere qualsiasi tipo di messaggio; una tabula rasa su cui la sensibilità imprime le proprie immagini, ma che solo potenzialmente può trasformarle in concetti.
Per questo Aristotele riconosce l'esistenza di un "INTELLETTO ATTIVO", che contiene già tutte le forme e i concetti in atto e che, agendo sull'intelletto passivo (la pagina bianca), gli consente di attualizzare la propria potenzialità conoscitiva.

ETICA

1. Felicità e ragione

Ogni ricerca, come pure ogni azione e ogni scelta, è fatta, secondo Aristotele, in vista di un fine che appare buono e desiderabile: dunque il fine e il bene coincidono.
I fini delle attività umane sono molteplici, e alcuni di essi sono desiderati soltanto in vista di fini superiori: es. la ricchezza si desidera per i piaceri che può dare.
Ma ci deve essere un fine supremo, un fine desiderato per se stesso, e non già in quanto condizione o mezzo di un fine ulteriore.
E se gli altri fini sono beni, questo fine sarà il BENE SOMMO, quello dal quale tutti gli altri dipendono. Questo fine è la FELICITÀ.
La ricerca e la determinazione della felicità costituiscono l'oggetto primo e fondamenta¬le dell’etica.
Ma in che cosa consiste per l'uomo la FELICITÀ?
Si può rispondere a questa domanda solo se si determina qual è il compi¬to specifico dell'uomo.
Infatti, ognuno è felice in quanto svolge bene l'attività che gli è propria: es. il suonatore quando suona bene, il costruttore quando costruisce oggetti perfet¬ti.
Ora, il compito proprio dell'uomo in quanto tale:
- non è la vita vegetativa (che egli ria in comune con ie piante),
- non è la vita dei sensi (che ha in comune con gli animali),
 ma è la VITA DELLA RAGIONE.
L'uomo dunque sarà felice solo se vivrà secondo ragione: in ciò con¬siste la VIRTÙ UMANA.
L'indagine sulla felicità diventa quindi, in Aristotele, indagine sulla virtù.

I beni esteriori (la ricchezza, la potenza, la bellezza...) possono, secondo Aristotele, faci¬litare con la loro presenza la vita virtuosa, o renderla più difficile con la loro assenza; non possono però determinarla.
La virtù e la malvagità dipendono solo dagli uomini e dal¬le loro scelte.
Certo, l'uomo non sceglie il fine (che egli ha in sé per natura e che lo guida a giudicare rettamente e a scegliere il vero bene), ma il carattere virtuoso della sua vita dipende dalla scelta dei mezzi che egli fa in vista del fine supremo.
E questa scel¬ta è libera, perché dipende esclusivamente dall'uomo.
Aristotele infatti chiama "libero" ciò che ha in sé il principio dei propri atti, ovvero ciò che è «principio di se stesso».
L'uomo è libero proprio in questo senso, in quanto è «il principio e il padre dei suoi atti come dei suoi figli»; e sia la virtù sia il vizio sono mani¬festazioni di questa libertà (Etica nicomachea).
Poiché nell'uomo, oltre alla parte razionale dell'anima, c'è anche la parte appetitiva (o sensitiva), la quale, pur essendo priva di ragione, può essere dominata e diretta dalla ragione, analo¬gamente ci sono DUE VIRTÙ fondamentali:
1) la prima consiste nell'esercizio stesso della ra¬gione ed è perciò detta "INTELLETTIVA", O "RAZIONALE", O "DIANOETICA" (dal greco diánoia, "intelletto");
2) l'altra consiste nel dominio della ragione sugli impulsi sensibili per determinare i buoni costumi ed è perciò detta "MORALE", O "ETICA"(dal latino mos e dal greco éthos, "costume").

2. Le virtù etiche

La VIRTÙ MORALE consiste nella “disposizione a scegliere il giusto mezzo adeguato alla nostra natura, quale è determinato dalla ragione, e quale potrebbe determinarlo il sag¬gio”.
Il giusto mezzo esclude i due estremi viziosi dell'eccesso e del difetto.
Si tratta di una capacità di scelta che si perfeziona e si rinvigorisce con l'esercizio. Esempi di virtù etiche:
- il coraggio, che è il giusto mezzo tra la viltà e la temerarietà, verte intorno a ciò che si deve e ciò che non si deve te¬mere;
- la temperanza, che è il giusto mezzo tra l'intemperanza e l'insensibilità, concerne l'uso moderato dei piaceri;
- la liberalità, che è il giusto mezzo tra l'avarizia e la prodiga¬lità, concerne l'uso accorto delle ricchezze;
- la magnanimità, che è il giusto mezzo tra la vanità e l'umiltà, concerne la retta opinione di se stessi;
- la mansuetudine, che è il giusto mezzo tra l'irascibilità e l'indolenza, concerne l'ira.
La principale tra le virtù etiche è la GIUSTIZIA, a cui Aristotele dedica un intero libro dell'Etica nicomachea.
Nel suo significato più generale, cioè come conformità alle leg¬gi, la giustizia non è una virtù particolare, ma la virtù e perfetta. Infatti, l'uomo che rispetta tutte le leggi è l'uomo interamente virtuoso.
Ma la giustizia ha un significato specifico e allora è
1) DISTRIBUTIVA
2) COMMUTATIVA.
1) La GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA è quella che presiede alla distribuzione degli onori o del denaro o degli altri beni che possono essere divisi tra coloro che appartengono alla stessa comunità. Tali beni devono essere distribuiti a seconda dei meriti di ciascuno. Perciò la giustizia distributiva è simile a una proporzione geometrica, nella quale le ricompense distribuite a due persone stanno tra loro come i rispettivi meriti di esse.
2) La GIUSTIZIA COMMUTATIVA presiede invece ai contratti, pareggiando vantaggi e svantaggi. I contratti possono essere:
a) volontari,
b) involontari.
a) Sono contratti volontari l'acquisto, la vendita, il mutuo, la loca¬zione ecc.
b) Dei contratti involontari:
1. alcuni sono fraudolenti, come il furto, il tradimento, la falsa testimonianza;
2. altri sono violenti, come le percosse, l'uccisione, la ra¬pina, l'ingiuria ecc.
La giustizia commutativa è correttiva: mira a pareggiare i vantaggi e gli svantaggi tra due contraenti. Es. nei contratti involontari la pena inflitta al reo deve es¬sere proporzionata al danno da lui arrecato.
Questa giustizia è dunque simile a una pro¬porzione aritmetica (pura e semplice uguaglianza).
Sulla giustizia è fondato il DIRITTO.
Aristotele distingue:
1) IL DIRITTO PRIVATO,
2) IL DIRITTO PUB¬BLICO, quest'ultimo concerne la vita associata degli uomini nello Stato e si distingue a sua volta in:
a) diritto legittimo (o positivo), che è quello stabilito nei vari Stati;
b) diritto na¬turale, che conserva il proprio valore dovunque, anche se non è sancito da leggi. (es. la vita…)
3. Le virtù dianoetiche.

La VIRTÙ INTELLETTIVA, O DIANOETICA, è quella propria dell'anima razionale.
Essa comprende: 1) l'arte, 2) la saggezza, 3) l'intelligenza, 4) la scienza, 5) la sapienza.
1) L'ARTE (téchne) è la capacità, accompagnata da ragione, di produrre un qualche oggetto; essa riguarda quindi la produzione, che ha sempre un fine fuori di sé, e non l'azione.
2) La SAGGEZZA è la capacità, congiunta a ragione, di agire convenientemente nei confronti dei beni umani, dirigendo il comportamento; a essa spetta di determinare il giusto mezzo in cui consistono le virtù mora¬li.
3) L'INTELLIGENZA è la capacità di cogliere i primi principi di tutte le scienze.
4) La scienza è la capacità dimostrativa, che ha per oggetto il necessario e l'eterno, ovvero ciò che non può accadere diversamente da come accade. Essa effettua le dimostrazioni, deducendo dai principi.
5) La SAPIENZA è il grado più alto della scienza: sapiente è colui che ha nello stesso tempo scienza e intelligenza, cioè colui che conosce i principi e le dimostrazioni. Mentre la saggezza concerne le cose umane e consiste nel giudizio sulla loro convenienza, opportunità e utilità, la sapienza concerne le cose più alte e universali.
Poiché:
- la virtù come attività propria dell'uomo è la stessa felicità,
- la felicità più alta con¬sisterà nella virtù più alta,
- la virtù più alta è la sapien¬za.
Il sapiente basta a se stesso e non ha bisogno, per coltivare ed estendere la propria sa¬pienza, di nulla che non abbia in sé. La vita del sapiente è fatta di serenità e di pace, giac¬ché egli non si affatica per un fine esterno, la cui raggiungibilità è problematica, ma per un fine che coincide con la stessa attività della sua intelligenza.
La VITA TEORETICA O “CONTEMPLATIVA”, che in Aristotele coincide con la sapienza, quindi con una vita dedicata esclusivamente alla ricerca, è una vita superiore a tutte le altre vite mortali e simile alla vita divina: l'uomo non la vive in quanto uomo, ma in quanto ha in sé qualcosa di divino.
L'etica di Aristotele si conclude con l'affermazione recisa della superiorità della vita teoretica. Questo è un punto di distacco tra Platone e Aristotele.
a) Platone non distingueva la sapienza dalla saggezza: con le due parole intendeva la stessa cosa, cioè la condotta razionale della vita umana, e in particolare della vita associata.
b) Aristotele, invece, distingue e contrappone i due concetti:
- la saggezza ha per oggetto le cose umane, che sono mutevoli;
- la sapienza ha per oggetto le cose divine.

sarahmiryam

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Messaggioda *Yole* » 28 nov 2011, 15:51

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*Yole*

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