Invio parafrasi e commento Satira III di Ludovico Ariosto

Messaggioda Maria Luisa Scippa » 4 dic 2011, 10:02

Ludovico Ariosto Satira III.
Le Satire, pur costituendo l’aspetto poetico secondario dell’Ariosto, meglio del Furioso rivelano la personalità complessa dell’Autore. Il poeta si dedicò alla loro composizione tra il 1517 e il 1525, hanno una struttura discorsiva; egli prende come modello il latino Orazio e definisce le proprie opere delle epistole, poiché hanno un destinatario. Queste sono rivolte a personaggi reali: l’autore immagina di colloquiare con essi e risponde alle loro domande e accuse. La Satira III del maggio del 1518 è rivolta al cugino Annibale Malaguzzi. In essa l’Autore parla del suo lavoro al servizio del duca Alfonso I, rifiuta di seguire il cardinale Ippolito in Ungheria e difende la propria dignità. Egli spiega come si trovi assai meglio alle dipendenze del duca che sotto il cardinale. Egli preferirebbe essere libero da qualunque impegno e chiarisce come per lui vivere a corte non possa considerarsi un privilegio;tuttavia un po’meno peggio è il servizio del duca che lo tiene più in patria.(vv. 1-9).
Poiché Annibale vuol sapere come se la passa egli afferma di sentirsi affaticato, si paragona a un somaro sfinito dalle lunghe fatiche, ma per il fatto che è per natura un ronzino senza fiato, senza pensarci molto dirà che entrambi i servizi non gli piacciono, e sarebbe meglio non essere sottomesso a nessuno.
Complesso è il rapporto che lega l’Ariosto alla corte: un rapporto di amore e di odio, di attrazione e di ripulsa. Nato figlio unico, Mercurio non aveva favorito la sua famiglia e costretto era stato a vivere a spese altrui; meglio, comunque, era nutrirsi al servizio del duca che andare dietro a qualcuno di condizione umile mendicando il pane come un accattone. Sa bene che si allontanerà dall’opinione dei più, i quali ritengono cosa prestigiosa vivere alla corte estense, al contrario egli la considera una cosa servile (la stima servitù). Se un giorno Mercurio(il figliolo di Maia)sarà generoso verso di lui, ne uscirà volentieri e vi rimarranno chi l’apprezza.(vv. 22-33).
Che vada in giro chi lo voglia: visiti l’Ungheria, la Francia e la Spagna, ama abitare la sua contrada. Ha visitato la Toscana, la Lombardia, la Romagna, le Alpi e gli Appennini, il mar Tirreno e l’Adriatico. Questo gli basta e senza pagare l’oste(per il vitto e per l’alloggio), visiterà il resto della terra studiando geografia (con Tolomeo), (senza bisogno di sapere9 sia che il mondo si trovi in pace o in guerra; e andrà percorrendo tutti i mari, senza far voti(a Dio) quando scoppiano le tempeste, più sicuro sarà sulle carte geografiche che sulle navi(vv. 55-66).
Il vano affannarsi dell’uomo sembra, secondo Ariosto, appartenere alla gente inesperta. I primitivi erano meno astuti degli uomini moderni si affaticavano per prendere la luna, quel vano affannarsi dell’uomo apparteneva alla “gente prima” inesperta , lontana dalle astuzie della modernità. Chi raggiunge “onor e ricchezza” è, in realtà, sempre “in travaglio”, il “volgo ignaro”,come gli uomini primitivi, osserva gli altri “dai poggi bassi” ed immagina che nella ricchezza e nell’onore risieda “ogni quiete”(vv.208-237).

Maria Luisa Scippa

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Messaggioda giada » 4 dic 2011, 12:19

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