la masseria delle allodole

Messaggioda sara.longo96 » 18 lug 2012, 10:35

La masseria delle allodole" di Antonia Arslan (Padova,1938)

In questo libro, in cui si tratta il genocidio armeno dell’inizio 900, l’autrice narra la storia di un gruppo di armeni (e della sua famiglia) che vissero in Anatolia in quel periodo e si ispira ai suoi ricordi familiari.
Questo romanzo ha vinto il premio Stresa di narrativa nel 2004

Trama.
La storia si apre con la descrizione dei componenti della famiglia Arslanian.
Quando il capofamiglia muore, Sempad, il secondogenito, deve occuparsi della famiglia poiché il primogenito, Yerwant, è partito giovanissimo per l’Italia per fuggire il più lontano possibile da Nevart, la sua matrigna; Sempad, oltre a Yerwant, ha pure due sorelle, Azniv e Veron, e due fratelli, Rupen e Zareh. Le sorelle vivono con la matrigna, Rupen vive a Boston e Zareh vive ad Aleppo. Veron vorrebbe un fidanzato americano e pensa che se andasse a trovare Rupen a Boston forse potrebbe trovarlo. La sorella, Azniv, ha un ragazzo armeno, ma viene corteggiata da un ufficiale turco, Djelal. Zareh è pure lui medico e crede di essersi distaccato dall’ingombrante famiglia lontana; manda a tutti loro una valigia di broccati d’Aleppo ogni due anni. Nell’ultimo invio egli aggiunse per Azniv, sorella minore, una pezza di seta rosso granata con rose di velluto a fili d’oro in rilievo; questa seta finirà nel deserto e le servirà da coperta. Un giorno, mentre Azniv legge un romanzo seduta sulla panchina di legno di casa sua sente qualcuno che la chiama: è Djelal. E’ venuto perché sa già della deportazione degli Armeni, ma non le dice niente, e vuole salvarla. Le chiede di sposarlo e di scappare con lui a Parigi. Sempad nel frattempo aveva fatto spianare il terreno nello spiazzo della masseria per creare un lawn tennis. Ma, arrivato il giorno di Pasqua, ipiani di Azniv, scappare con l’ufficiale, e di Sempad, rivedere suo fratello, sfumarono.
Mentre si preparano per pranzare arriva Krikor disperato, ed informa Sempad che tutti gli uomini del quartiere sono stati arrestati e che tale sorte sarebbe toccata pure a loro. Allora decidono di rifugiarsi alla masseria, dove, poco dopo, li avrebbero raggiunti la moglie Shushanig con i figli e alcuni amici. Partiti i due uomini, Shushanig si reca nella sua grande stanza, e apre una scatola piena d'oro e gioielli. La divide in due sacchetti e ne affida uno ad Ismene, una lamentatrice greca, e le dice di indagare su ciò che sta avvenendo. Ma il tenente Ismail scopre l’accaduto e raduna i soldati per punire tutti coloro che si trovano alla Masseria, uccidendo brutalmente tutti gli uomini presenti e gettandoli poi in quello che sarebbe dovuto diventare un lawn-tennis. Poco dopo, un colonnello scopre l’accaduto e provvede ad una degna sepoltura per i poveri uomini armeni. Essi ancora non lo sanno, ma per loro, quello, sarà l’ultimo funerale.

Shushanig torna a casa e, a tarda sera appaiono le solite guardie in compagnia di un banditore che proclama che le famiglie armene hanno trentasei ore per lasciare la città e i loro beni. Le donne chiedono dove sono i loro mariti e i soldati rispondono loro che le aspettano fuori città. In realtà sono tutti morti e nessuna li rivedrà mai più. Yerwant, non avendo più ricevuto telegrammi da Sempad, inizia a sospettare qualcosa e, piano piano, scoprirà dalle minime informazioni che trapelano dall’estero, che la mettono al corrente delle stragi armene. All’alba tutti gli Armeni sono già nelle carrozze e pronti a partire. All’uscita dalla città i carri degli Armeni, guidati dai gendarmi, si fermano per la notte. Vengono assaliti dai curdi che aiutano i turchi nel genocidio. Così ha inizio lo sterminio degli Armeni: molti muoiono di fame e di disperazione, altri vengono assassinati a bruciapelo e le donne vengono violentate e poi uccise.
Quando i deportati stanno per arrivare a Konya, la città santa, i gendarmi, per non far capire niente agli abitanti, fermano gli armeni prima di entrare in città. Ma le urla delle armene disperate faranno capire ai dervisci (discepoli di alcune confraternite islamiche) la loro sorte crudele. Il capo delle guardie ordinerà ai suoi uomini i prigionieri ed è così che Shushanig rincontrerà Ismene. Quest’ultima, insieme ad Isacco e Nazim, arrivati a Konya, trovano Shushanig e la sua famiglia: le danno da mangiare e le dicono che torneranno per liberarli. Yerwant riceve una lettera da Zareh, il fratello che vive ad Aleppo. E’ una lettera in codice dove gli dice di non scrivere più a casa sua, ma di informarsi al consolato francese. Ismene poi cerca Zareh e lo trova in un albergo francese. Gli racconta ciò che è successo a Sempad e alla sua famiglia e escogitano un modo per salvarli. Zareh si farà aiutare da Marie Josephine, moglie del console. Assieme corrompono il comandante e una guardia del campo, sicchè, una notte, entrati nel campo, riescono a salvare lei e le sue figlie. Ormai è troppo tardi per Azniv, uccisa dai soldati, e per Veron morta per la fame. Così, le figlie di Sempad con Shushanig, restano un anno con Zareh. Poi Shushanig muore di crepacuore e le figlie vengono mandate in Italia da Yerwant. Ed è proprio l’ufficiale Djelal ad aiutarle a fuggire e poi a testimoniare al processo per le stragi armene a Costantinopoli nel 1919. Ismene e Isacco partono per Smirne. Nazim scompare, forse per esercitare la sua professione alla Mecca. Nessuno è più tornato nella piccola città.

sara.longo96

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Messaggioda giada » 18 lug 2012, 13:45

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