Le proposizioni subordinate (latino).

Messaggioda Chela39 » 12 set 2012, 16:28

I. Le proposizioni completive infinitive.
Sono subordinate con la funzione di completare la sovraordinata della quale possono costituire:
- il soggetto;
- l'oggetto;
- l'apposizione.
Le infinitive si costruiscono utilizzando l'infinito che ha come soggetto l'accusativo. Poiché seguono la consecutio temporum, l'infinito può essere coniugato al:
- presente, se l'azione dell'infinitiva è contemporanea a quella della reggente;
- perfetto, se l'azione dell'infinitiva è anteriore a quella della reggente;
- futuro, se l'azione dell'infinitiva è posteriore a quella della reggente.
In italiano possono essere tradotte in maniera esplicita con “che” e l'indicativo o il congiuntivo, in maniera implicita con “di” e l'infinito.

Soggettive.
Ha valore di soggetto quando completa la sovraordinata costituendone il soggetto.
Si costruiscono con quelle espressioni con cui l'infinito ha valore di soggetto:
- espressioni impersonali costituite da una voce del verbo sum unito ad un aggettivo neutro o a un sostantivo o a un genitivo di pertinenza;
- con verbi impersonali e con le forme passive di verba dicendi usati impersonalmente.
Oggettive.
Ha valore di oggetto quando completa da reggente costituendone il soggetto.
Troviamo il costrutto dopo:
- i verba sentiendi (ovvero verbi che significano sentire, conoscere, capire, ritenere, giudicare);
- verba dicendi e declarandi (ovvero verbi che significano dire o dichiarare, rispondere, annunciare, scrivere, minacciare, giurare);
- i verba voluntatis (ovvero verbi di volontà come volere, proibire, stabilire, ordinare);
- i verba affectuum (ovvero verbi che indicano affetti come rallegrarsi, lamentarsi, meravigliarsi).
Usi particolari.
Talvolta al posto dell'infinito futuro si può trovare la circonlocuzione fore o futurum esse ut con il congiuntivo presente o imperfetto (neg. non) quando:
- il verbo da coniugare all'infinito futuro manca di supino;
- in sostituzione dell'infinito futuro passivo in -iri;
- in luogo dell'infinito futuro attivo di verbi che usano il supino quando si vuole esprimere l'idea di accadere.

N.B. Naturalmente in tutti questi costrutti il soggetto non è più espresso in accusativo ma in nominativo poiché non è più soggetto dell'infinito ma del congiuntivo dipendente dalla circonlocuzione.

La circonlocuzione composta da fore + il participio perfetto utilizzata solo con i verbi che hanno il participio perfetto.
La posteriorità può essere espressa anche con semplici infiniti presenti quali posse, velle, debēre che indicano proprio la posteriorità.
L'anteriorità può essere espressa con gli infiniti perfetti potuisse, voluisse, debuisse.
Con il verbo memini si può trovare l'infinito presente invece del perfetto anche in riferimento a eventi passati se il soggetto presenta un fatto al quale era presente.
Con verbi ed espressioni come spero, spes mihi est, promitto, iuro il latino usa il rapporto di posteriorità con l'infinito futuro che in italiano si rende con la contemporaneità soprattutto quando i soggetti della reggente e sella subordinata coincidono.
Alcuni verbi cambiano significato a seconda della costruzione:
- l'accusativo con l'infinito esprime una constatazione;
- la volitiva con ut (o ne) con congiuntivo esprime un'esortazione.
a) Suadeo e persuadeo:
- nel senso di convincere hanno l'accusativo e l'infinito;
- nel senso di persuadere o esortare hanno ut con il congiuntivo.
b) Censeo:
- nel senso di pensare, ritenere ha l'accusativo con l'infinito;
- nel senso di proporre, decretare ha ut con il congiuntivo;
- se l'espressione include l'idea del dovere questa viene resa con la perifrastica passiva.
c) Moneo e admoneo:
- nel senso di ricordare, avvertire hanno l'accusativo con l'infinito;
- nel senso di esortare, consigliare hanno ut con il congiuntivo.
d) verba sentiendi e declarandi:
- con l'accusativo e l'infinito quando esprimono la constatazione di fatto o l'enunciazione di un pensiero;
- con ut e il congiuntivo quando esprimono un desiderio, una volontà, un ordine.
Altri verbi esprimono una percezione sono costruiti:
- con l'accusativo e l'infinito se esprimono una constatazione;
- con il participio presente con funzione predicativa se si mette in risalto l'azione nell'atto del suo svolgimento.
I verbi che esprimono una percezione si costruiscono:
- l'infinito semplice se il soggetto della dipendente è lo stesso della reggente;
- ut con congiuntivo se le due proposizioni hanno il soggetto diverso;
- la coniugazione perifrastica passiva se si vuole esprimere l'idea della necessità.
I verbi che significano comandare, vietare, permettere sono costruiti:
- con accusativo della persona a cui di comanda...qualcosa, l'infinito del verbo da essi dipendente. Contrariamente l'infinito è espresso al passivo.
- il verbo impero regge una completiva al congiuntivo con ut.
- il verbo iubeo può essere costruito con ut e il congiuntivo quando si tratta di deliberazioni.
La funzione epesegetica si esprime con:
- ut con congiuntivo quando la frase ha senso volitivo;
- con il quod dichiarativo seguito da indicativo o dal congiuntivo.

II. Proposizione completiva introdotta da quod dichiarativo.
Sono subordinate che possono svolgere una funzione di soggetto, oggetto o epesegetica.
Sono introdotte da quod costruito con l'indicativo ma anche col congiuntivo obliquo quando il fatto è presentato come un punto di vista del soggetto.
In italiano si traduce in forma esplicita con il “che” o “riguardo al fatto che”; se c'è identità di soggetto con la reggente si rende in forma implicita con “di”, “il fatto di” o “a” e l'infinito.

Completive soggettive e oggettive.
Con espressioni o verbi che manifestano giudizio (bene, opportune, male fit, gratum, iucundum, molestum est quod).
Con verbi che significano aggiungere, tralasciare.
Con verbi o espressione che manifestano lode, biasimo, accusa, condanna quali laudo quod, vitio tribuo quod. Sono affini a questi verba affectuum come gaudeo, laesor quod, moleste fero quod.

Completive epesegetiche.
Determinano un pronome o un avverbio o anche un sostantivo con funzione prolettica nella reggente.
Usi particolari.
Verbi di accadimento non accompagnati da un avverbio reggono completive introdotte da ut (ut non) e il congiuntivo.
La funzione dichiarativa del quod con i verba affectuum si confonde con quella causale.
Quod in inizio del periodo può avere valore di “quanto al fatto che, riguardo a quello che”.


III. Completive di fatto introdotte da ut.
Sono subordinate che indicano una constatazione di fatto, può avere funzione di soggetto o oggetto della reggente che completano e funzione epesegetica.
Sono introdotte da ut, ut non con il congiuntivo secondo la consecutio temporum (prevale perlopiù la contemporaneità espressa nel presente col congiuntivo presente, nel passato col congiuntivo passato).
Si rendono in italiano con una frase esplicita all'indicativo o al congiuntivo introdotta da “che” o “che non”; in forma implicita, se hanno lo stesso soggetto della reggente, con “d” e l'infinito.
Si trovano in dipendenza da:
- verbi e locuzioni impersonali di avvenimento (fit ut, est ut, futurum est ut);
- verbi che indicano un risultato o una conseguenza (facio, efficio, perficio ut);
- espressioni costituite da un sostantivo, un aggettivo neutro o un avverbio con la 3° pers. sing del verbo sum (lex est ut, mos est ut, tempus est ut).
In dipendenza da verbi che indicano rimanere e seguire si trova l'accusativo con l'infinito.

IV. Completive volitive introdotte da ut.
Sono subordinate con valore volitivo e possono svolgere la funzione di oggetto, soggetto o epesegetica.
Sono introdotte da ut o ne e hanno rapporto di contemporaneità con la reggente e pertanto sono costruite con il congiuntivo presente o imperfetto secondo la consecutio temporum.
In italiano si rendono in forma esplicita con “che” o “che non”, in forma implicita, se hanno lo stesso soggetto della reggente, con “di” o “a” con l'infinito.
Si trovano in dipendenza di verbi che indicano un'idea di volontà:
- verbi che significano curare, provvedere, sforzarsi, cercare di..
- verbi che significano esortare, persuadere, incitare, comandare..
- verbi che significano ottenere, meritare, concedere..
- verbi e locuzioni impersonali (necesse est, tempus est, locus est) o anche sostantivi con valore implicito volitivo (cura, ius, potestas).
Con i verbi di volontà, con alcuni imperativi e forme impersonali si può trovare la proposizione espressa con il congiuntivo senza ut.
Una completiva affermativa con una completiva negativa sono coordinate da neque; due completive negative sono coordinate da neve o neu.
Verbi come facio, efficio, perficio possono reggere sia le completive di fatto sia le volitive; nelle affermative non presenta riscontri grammaticali, nelle negative invece il senso volitivo implica la negazione ne, la constatazione di fatto la negazione ut non.
Alcune volitive determinano i verbi e le espressioni che indicano timore e sono costruite con il congiuntivo secondo la consecutio temporum e introdotte da:
- ut o ut non (“temo che non”) quando si teme che non avvenga una cosa che si desidera;
- ne (“temo che”) quando si teme che avvenga una cosa che non si desidera.
Se il verbo o l'espressione di timore è preceduta da una negazione, la completiva non è mai introdotta da ut ma solo da ne (“non temo che”) o ne non (“non temo che non”).
I verbi vereor e timeo sono costruiti con l'infinito quando significano esitare o dubitare.

V. Completive introdotte da quin, quonimus, ne.
Sono subordinate che completano espressioni di forma o senso perlopiù negativo che significano dubitare, astenersi, impedire, trattenersi.
Sono introdotte da quin, quonimus, ne con il congiuntivo secondo la consecutio temporum.
In italiano si rendono in forma esplicita con “che” o “che non”; in forma implicita con “di” o “a” con l'infinito.
Si trovano in dipendenza da:
- verba dubitandi che devono avere forma o senso negativo e possono anche essere interrogative retoriche con significato negativo. Questo tipo di completiva è introdotta da quin con il congiuntivo secondo la consecutio temporum (può essere contemporanea, anteriore o posteriore). In italiano può essere resa all'indicativo o al congiuntivo ed è introdotta da “che”.
Espressioni come facere non possum quin, non multum paulum abest quin, non moror, praetetire non possum quin... La completiva sarà introdotta da quin, in quanto contemporanea alla reggente, e espressa con il congiuntivo presente o imperfetto secondo la consecutio temporum.
Verba impediendi e recusandi che indicano impedimento e rifiuto. In quanto contemporanea alla reggente, è espressa al congiuntivo presente o imperfetto e introdotta da ne o quonimus se la reggente è affermativa; da quonimus o quin se la reggente è negativa.

VI. Interrogative dirette.
Sono quelle proposizioni che pongono una domanda.
Sono indipendenti ovvero principali che non dipendono da nessun verbo. Il modo è di norma all'indicativo ma può essere anche al congiuntivo potenziale o dubitativo.

Interrogative dirette semplici: pongono una sola domanda.
Hanno il modo indicativo ma se esprimono un dubbio o una possibilità utilizzano il congiuntivo dubitativo o potenziale.
Sono introdotte da:
1. Aggettivi, pronomi o avverbi interrogativi come quis, qui, uter, qualis, quantus, quot, ubi, quando, cur;
2. Particelle interrogative che specificano se si è in presenza di un'interrogazione retorica, in cui la risposta è già implicita nella domanda, o una vera e propria:
- -ne enclitica che si usa nelle interrogazioni vere e proprie, quando si domanda una cosa che si ignora. Spesso ha valore di num e nonne nelle espressioni videsne, potesne e simili;
- nonne (“non è forse vero che? Non forse?”) che introduce un'interrogazione retorica che aspetta una risposta affermativa;
- num (“forse che?”) che introduce un'interrogazione retorica che aspetta una risposta negativa.
“quando” è espresso con quando (non con cum) e “perchè” con cur, quare, quam ob rem; “come” con quomŏdo.
Per quanto concerne la risposta, tale può essere affermativa o negativa:
- per rispondere affermativamente si ripete la parola più importante su cui converge l'interrogazione o si usa un avverbio affermativo come ita, ita est, sane, omnino, certe..
- per rispondere negativamente si ripete la parola più importante preceduta dal non o si usa un avverbio negativo come ita non, minime vero..

Interrogative dirette doppie o disgiuntive: propongono un'alternativa scandita da particolari particelle disgiuntive.
Sono formate da due membri di cui il primo è introdotto da utrum o da -ne enclitica o da nessuna particella e il secondo e i seguenti da an.
Il secondo membro può essere espresso ellitticamente anche con an non.
Se il secondo membro non esprime una vera e propria contraddizione, è introdotto da aut o vel e non da an.
An può introdurre anche interrogative dirette semplici:
- quando si vuole convalidare, in tono ironico o meravigliato, un concetto espresso in precedenza mostrando insostenibile l'affermazione opposta (“o forse, forse che”);
- quando a un'interrogazione di carattere generale ne segue un'altra preceduta da an che la determina o definisce (“non forse”);
- quando in un'interrogativa retorica si vuole mettere in rilievo una forte contrapposizione (“se dunque”).


VII. Interrogative indirette.
Sono proposizioni subordinate di natura completiva che formulano una domanda indiretta e dipendono quindi da verbi come “chiedere, domandare, interrogare”..
Sono introdotte dagli stessi elementi che introducono le interrogative dirette.
Possono essere anch'esse semplici e doppie o disgiuntive.
Sono costruite con il congiuntivo secondo la consecutio temporum e si rendono in italiano con il indicativo o con il congiuntivo.

Interrogative indirette semplici.
Sono introdotte da:
1. pronomi, aggettivi o avverbi interrogativi come quis, qui, uter, qualis, quantus, quot, ubi, quando, cur;
2. particelle interrogative che specificano se si è in presenza di un'interrogazione retorica, in cui la risposta è già implicita nella domanda, o una vera e propria:
- -ne o num indifferentemente sia che si aspetti una risposta incerta o negativa. In italiano corrisponde a “se”.
- nonne se si aspetta una risposta affermativa specialmente in dipendenza da quaero e in italiano si rende con “se non”.
Con i verba dubitandi la dipendente è sempre al congiuntivo e introdotta da:
- an (“se non”) quando chi dubita pretende un sì;
- an (“se”) non quando chi dubita pretende un no;
- ne o num (“se”) quando il dubbio è assoluto.
Quando i verbi significano “tentare, aspettare, vedere”, la dipendente è introdotta dal si in luogo di num o -ne.
Le locuzioni nescio quis “non so chi”, nescio quid “non so che”, nescio quomŏdo “non so come” costituiscono un'espressione avverbiale quindi non influiscono nel modo del verbo a cui si accompagnano.

Interrogative indirette doppie o disgiuntive.
Sia in dipendenza da verbi che significano “chiedere” e “dubitare”, sono costruite con il congiuntivo e introdotte dalle stesse particelle che introducono le interrogative dirette doppie o disgiuntive.
Il secondo membro di un'interrogativa doppia può essere introdotto in forma ellittica con necne.

VIII. Proposizioni relative.
Sono quelle proposizioni che espandono un termine presente nella sovraordinata alla quale si collegano mediante un pronome, un aggettivo o un avverbio relativo.
Si riconoscono dalla presenza di pronomi, aggettivi o avverbi relativi nella subordinata (qui, quantus, quicumque, qualis,..).
Il termine della sovraordinata al quale la relativa si collega è detto antecendente e può essere un sostantivo o un pronome come is, ille, idem, talis, tantus...
Possono essere:
- proprie se si tratta di vere e proprie subordinate di tipo attributivo in quanto specificano un termine nella reggente;
- improprie quando corrispondono ad una proposizione circostanziale o avverbiale.

Relative proprie.
Utilizzano l'indicativo quando:
- hanno funzione di attributo o di apposizione rispetto al termine della proposizione reggente;
- hanno valore di perifrasi che corrisponde in pratica ad un sostantivo italiano;
- hanno valore di una proposizione incidentale, del tipo “quā prudentiā es”.
- sono introdotte da pronomi o avverbi raddoppiati o uscenti in -cumque.
Hanno il congiuntivo quando:
- sono relative oblique ovvero quando il loro contenuto è riferito come pensiero di persona diversa da chi parla e da chi scrive;
- hanno valore valore eventuale o caratterizzante;
- risentono della cosiddetta attrazione modale (dipendono da una proposizione al congiuntivo o all'infinito e ne sono parte integrante e necessaria al completamento del senso).

Relative improprie.
Utilizzano sempre il modo congiuntivo e possono essere di natura:
- finale, se denotano il fine;
- consecutiva, se denotano una conseguenza;
- causale, se denotano una causa;
- concessiva, se esprimono una circostanza nonostante la quale si compie quanto detto;
- avversativa, se esprimono un concetto che si oppone a quello espresso dalla reggente;
- ipotetica, se corrispondono a una protasi di un periodo ipotetico di 2° o 3° tipo;
- limitativa, se restringono o attenuano l'idea espressa nella proposizione reggente.

Costrutti particolari.
Il nesso relativo (relativa apparente): si presenta quando un pronome o un avverbio relativo sono usati al posto del dimostrativo corrispondente dando così luogo a una relativa apparente. Corrisponde a un dimostrativo accompagnato da una congiunzione coordinante.
Prolessi e attrazione del relativo: la prolessi del relativo è l'anticipazione della relativa rispetto alla reggente nella quale il relativo può essere richiamato da un dimostrativo; l'attrazione è invece un fenomeno per cui il sostantivo che fa da antecedente viene inserito nella relativa stessa e attratto nel caso del pronome relativo.
Concorrenza del relativo: è il fenomeno per cui in una relativa si possono trovare due pronomi relativi, uno che collega la subordinata con la reggente e l'altro che è integrato nel costrutto della frase seguente.

IX. Proposizioni finali.
Sono subordinate che esprimono il fine perseguito dal soggetto nel compiere l'azione espressa nella reggente.
Sono introdotte da ut e ne con il congiuntivo e hanno un rapporto di contemporaneità rispetto con la reggente secondo la consecutio temporum. Pertanto hanno il congiuntivo presente se nella reggente c'è un tempo principale, il congiuntivo imperfetto se nella reggente c'è un tempo storico.
Si rendono in italiano in forma esplicita con “affinchè, perchè”, in forma implicita con “a, per, allo scopo di” e l'infinito.

Usi particolari.
Quando è espressa da una relativa impropria introdotta da un pronome o un avverbio relativo.
Finali introdotte da quo: la finale può essere introdotta da quo(=et eo) che significa “affinchè con ciò”.
Formule prolettiche: la finale può essere anticipata nella proposizione reggente da espressioni prolettiche come eo, idcirco, propterea..
Forme di negazione:
- in presenza di pronomi la negazione sarà ne mantenendo il pronome alla forma affermativa;
- la coordinazione negativa tra due finali è fatta con nec o neque se la prima è positiva, con neve o neu se la prima è negativa;
- la negazione è ut non se si riferisce ad un solo termine della frase;
- si osservi la diversità delle seguenti espressioni:
ut non dicam > “per tacere di, per non parlare di” (e intanto se ne parla);
ne dicam > “per non dire, direi quasi” per mitigare un'espressione troppo forte.

Le finali implicite.
Ad + accusativo del gerundio o del gerundivo.
Causā o graziā + genitivo del gerundio o del gerundivo.
Supino in -um (quando la finale dipende da un verbo di movimento).
Participio congiunto futuro o (più raramente) presente.

X. Proposizioni consecutive.
Sono subordinate che esprimono l'effetto, la conseguenza dell'azione espressa nella reggente.
Sono introdotte da ut e ut non (ut nemo, ut nihil, ..) e neque se la consecutiva è coordinata ad un'altra e usano il congiuntivo.
La consecutiva è speso anticipata nella reggente da antecedenti costituiti da pronomi o avverbi correlativi a ut:
- tam “tanto”, usato davanti ad aggettivi e avverbi;
- sic, ita “così”, eo “a tal punto “, tantum “talmente, tanto”, usati davanti a verbi;
- talis, is “tale” tantus “tanto grande” tot “tanti” usati come aggettivi o pronomi.
Questa proposizione non segue la consecutio temporum in quanto il rapporto fra causa e conseguenza non è necessariamente soggetto al controllo del soggetto della reggente.
In italiano si rendono in forma esplicita con “che” e l'indicativo (raramente il congiuntivo) con gli stessi tempi del lativo; se nella reggente manca l'antecedente, l'ut è rso con “cosicchè, così che”.
In forma implicita si traduce con “da” e l'infinito.
Il congiuntivo presente indica la conseguenza nel presente, indipendentemente dal tempo della reggente;
il congiuntivo imperfetto indica la conseguenza durativa nel passato o strettamente connessa con la reggente e a essa contemporanea;
il congiuntivo perfetto indica un'azione passata che esprime una conseguenza in sé, con un fatto momentaneo che si è esaurito in un tempo limitato e senza rapporti cronologici con la reggente.

Usi particolari.
Una consecutiva può essere introdotta anche dal pronome relativo qui, quae, quod con il congiuntivo (relativa impropria).
In dipendenza da una reggente negativa, è talvolta introdotta anche da quin (=qui, quae, quod non).
Se nella reggente è presente un comparativo che denota sproporzione, sarà invece introdotta da quam ut (o quam qui, quae, quod).
Quando la consecutiva in questione ha valore restrittivo (pone una condizione all'azione della reggente), è costruita con il nesso ea condicione ut (non).
Nell'espressione impersonale tantum abest ut … ut …, il primo ut introduce una completiva e il secondo una consecutiva.

XI. Proposizioni causali.
Sono subordinate che spiegano la causa reale o pensata di quanto si afferma nella reggente.
Sono introdotte dalle congiunzioni quod, quia, quoniam, quandoquidem, siquĭdem, quando con l'indicativo o il congiuntivo; dalla congiunzione cum con il congiuntivo o dal pronome relativo in luogo di relative improprie.
Sono costruite con il congiuntivo secondo la consecutio temporum, con l'indicativo e in forma implicita con il participio congiunto e con l'ablativo assoluto.
In italiano si rendono in forma esplicita con le congiunzioni “perchè, poiché, giacchè” o con le espressioni “dato che, dal momento che”.., in forma implicita con il gerundio.

Causali introdotte da quod, quia e quoniam.
Queste causali sono spesso sono precedute nella reggente da espressioni come eo, ideo, idcirco, propterea, ob eam causam, ob eam rem.
Sono costruite con:
- l'indicativo per esprimere una causa obiettiva cioè reale o il pensiero diretta di chi scrive o parla;
- il congiuntivo per esprimere una causa soggettiva cioè che presenta il pensiero di una persona diversa da chi parla o scrive.

Causali introdotte da cum+congiuntivo.
Cum non introduce una vera e propria causa come quia e quod ma una circostanza che determina il fatto espresso nella reggente.
È talvolta preceduto da quippe, utpŏte, praesertim.
È sempre costruito con il congiuntivo con i tempi voluti dalla consecutio temporum.
In italiano si traduce con “poichè, giacchè” e l'indicativo o con il gerundio.

Usi particolari.
Quod dichiarativo-causale: il valore di quod oscilla tra dichiarativo e causale quando dipende dai verba affectuum, verbi che significano “lodare, biasimare, accusare” e verbi che significano “congratularsi”.
Se la causa è oggettiva la reggente avrà l'indicativo, se la causa è soggettiva allora avremo il congiuntivo.
Nessi correlativi: nella correlazione non quod...sed quia (“non perchè...ma perchè”), non quod non...se quia (“non perchè non...ma perchè”) la prima causale introduce una causa non reale ma supposta quindi ha il congiuntivo, la seconda invece esprime il vero motivo dell'azione della principale quindi ha l'indicativo.
Altri nessi sono:
- magis (quia)...quam quod (“più perchè...che perchè”) rispettivamente con l'indicativo e il congiuntivo;
- sive quia...sive quia con l'indicativo o sive quia...sive quod con il congiuntivo (“sia perchè...sia perchè”).

XII. Proposizioni temporali.
Sono subordinate che determinano la circostanza di tempo in cui si colloca l'azione della reggente. Tale circostanza può essere contemporanea, anteriore o posteriore rispetto a quella della reggente.
Sono introdotte da congiunzioni che configurano il rapporto con la reggente:
- cum “quando”;
- ut, ut primum, simul ac (atque), statim ut “appena che”, “non appena”;
- dum “mentre, finchè”;
- donec, quoad, quamdiu “finchè, fino a quando”;
- antequam, priusquam “prima che”;
- postquam “dopo che”.
Sono costruite in forma esplicita:
- con l'indicativo quando si limitano a rilevare una circostanza di tempo;
- il congiuntivo quando il contenuto è presentato come eventuale atteso o con senso consecutivo-finale.
In forma implicita con il participio congiunto o con l'ablativo assoluto.
In italiano si rendono in forma esplicita con l'indicativo o il congiuntivo introdotti dalle congiunzioni temporali, in forma implicita con l'infinito introdotto da locuzioni temporali come “al momento di, prima di, dopo di” o con il gerundio o il participio.

Uso di cum.
È la congiunzione temporale di uso più frequente e può essere costruita con l'indicativo e col congiuntivo.
a) INDICATIVO:
- cum generico > esprime una determinazione temporale generica ed è anticipato nella reggente da avverbi correlativi o complementi di tempo (“quando”);
- cum inverso > introduce un fatto inaspettato o improvviso che avviene contemporaneamente o subito dopo quello espresso nella reggente (“quand'ecco”);
- cum coordinativo o simultaneo > lega in stretto rapporto di contemporaneità l'azione della temporale con quella della reggente; solitamente è accompagnato dagli avverbi interea, interim (“e intanto, e frattanto”);
- cum iterativo > sta ad indicare un'azione ripetuta (“ogni volta che, ogni qual volta”). Un'accentuazione del senso iterativo si ha con quotiens e quotienscumque (“tutte le volte che”); in questo caso la temporale osserva la legge dell'anteriorità ovvero che ha il perfetto in rapporto con un presente, il piuccheperfetto in rapporto ad un imperfetto e il futuro anteriore in rapporto con il futuro semplice.
b) CONGIUNTIVO:
- è detto cum narrativo (cum historicum) e precisa le circostanze in cui è avvenuta un'azione passata espressa nella reggente. Con il congiuntivo imperfetto esprime una circostanza concomitante con il piuccheperfetto indica la successione degli eventi;
- la frase con il cum e il congiuntivo solitamente precede la reggente e ha un valore che oscilla tra quello temporale e quello causale.
- si rende in italiano in forma esplicita con una subordinata di valore temporale o causale a seconda del contesto; in forma implicita con il gerundio che mantiene la polivalenza temporale-causale.

Uso di ut, ut primum, cum primum.
Le temporali introdotte ut, ut primum, ubi, ubi primum, simul ac esprimono una coincidenza o precedenza immediata rispetto all'azione della reggente.
Hanno l'indicativo con l'osservanza dei rapporti temporali.
Si rendono in italiano con una subordinata all'indicativo introdotta da “come”, “appena che”, “non appena”.

Uso di dum, quoad, donec, quamdiu.
Dum con l'indicativo presente: ha il significato di “mentre”, “nello stesso tempo che” e indica esatta contemporaneità di tempo fra il verbo della reggente e quello della subordinata. In italiano si rende solitamente con l'indicativo imperfetto.
Dum, quoad, donec, quamdiu (“per tutto il tempo che”, “finchè”): indicano simultaneità cioè pari durata fra l'azione della reggente e quella della temporale. Si costruiscono con l'indicativo con lo stesso tempo della reggente.
Dum, donec, quoad (“fino al momento che (non)”, “finchè(non)”): indicano una successione immediata dell'azione della temporale rispetto a quella della reggente. Sono costruite con:
- l'indicativo per enunciare un'azione reale;
- il congiuntivo secondo la consecutio temporum per esprimere un'intenzione, un'eventualità, un'aspettativa.

Uso di priusquam e antĕquam.
Esprimono una determinazione temporale di semplice successione e indicano cioè che l'azione della temporale avviene o è avvenuta o avverrà dopo quella della reggente.
Si costruiscono con:
- l'indicativo quando indicano un fatto reale (il presente indica un'azione presente; il perfetto, usato soprattutto con una sovraordinata negativa, indica un'azione successiva a un'altra passata);
- il congiuntivo quando si riferiscono a un fatto possibile, eventuale.
- il futuro anteriore per esprimere anteriorità logica rispetto a un futuro semplice nella reggente.

Uso di postquam.
Esprime un determinazione temporale di precedenza ovvero indica che l'azione della temporale avviene o è avvenuta prima della reggente. In quanto si riferisce a un fatto che non è mai avvenuto, questa costruzione usa i tempi dell'indicativo:
- il perfetto (o il presente storico) per indicare una precedenza immediata rispetto a un tempo storico della reggente;
- il piuccheperfetto per indicare che l'azione della temporale precede quella della reggente (al perfetto);
- il presente o l'imperfetto per indicare un'azione che perdura con una sfumatura causale da rendere con “da quando, dacchè, poichè”.

XIII. Proposizioni concessive.
Sono subordinate che esprimono una circostanza nonostante la quale si compie quanto è detto nella reggente.
Sono introdotte da congiunzioni come quamquam, etsi, tametsi, quamvis, licet, ut, etiamsi, cum.
Possono essere anticipate nella reggente da avverbi e locuzioni come tamen (“tuttavia”), nihilo mĭnus (“nondimeno”). La negazione è non.
Sono costruite in forma esplicita con l'indicativo o il congiuntivo dipendentemente dalle congiunzioni e in forma implicita con il participio congiunto o l'abaltivo assoluto.
Si traducono in forma esplicita con le congiunzioni “sebbeme, qualtunque, benchè” e in forma implicita con “pure, pur” con gerundio o participio.
Le concessive oggettive si limitano a una semplice constatazione e sono espresse non quamquam, etsi, tametsi con l'indicativo.
Le concessive soggettive si presentano come una supposizione o come il punto di vista del parlante. Sono introdotte da:
- quamvis “sebbene, qualtunque, pertanto” con il congiuntivo secondo la consecutio temporum;
- licet “sia pure, quald'anche” con il congiuntivo presente o perfetto;
- ut “sebbene, ancorchè” (ut non) con il congiuntivo;
- etiamsi “anche se, anche nel caso che” con il congiuntivo ma anche con l'indicativo se si tratta di una concessione reale.
Le concessive implicite si esprimono con il participio congiunto, l'ablativo assoluto o un semplice elemento nominale.
La concessiva relativa è invece introdotta da qui, quae, quod con il congiuntivo.

XIV. Proposizioni comparative.
Sono subordinate che esprimono un confronto svolgendo in pratica la funzione del secondo termine di paragone nei confronti di quanto si dice nella reggente.
Quelle di maggioranza e di minoranza sono introdotte da quam a cui corrisponde nella reggente magis, potius, minus ecc.; quelle di uguaglianza presentano locuzioni correlative come sic...ut, ita...ut, ecc.
Le comparative reali sono espresse con l'indicativo o talvolta con il congiuntivo obliquo per attrazione modale. Le comparative reali di maggioranza e di minoranza sono introdotte da quam in correlazione con un avverbio come plus, aplius, magis o minus. Sono espresse con l'indicativo ma possono avere anche il congiuntivo obliquo, potenziale, eventuale o irreale. Le comparative reali di uguaglianza sono espresse con l'indicativo e itrodotte da forme di relazione quali sic/ita...ut, talis...qualis, tantum...quantum, tam...quam, tot...quot, totiens...quotiens; anche da atque o ac dopo aggettivi indicanti somiglianza, ugluaglianza e il loro contrario.
Le comparative ipotetiche sono subordinate che istituiscono con la reggente un confronto di tipo ipotetico. Sono espresse con il congiuntivo e introdotte da formule come velut si, ut si, tamquam si costituendo così la protasi del perioso ipotetico di 2° e 3° tipo e pertanto seguono la consecutio temporum se l'idea esprime possibilità, non la seguono se esprime irreltà. Possono anche non essere introdotte da si ma da congiunzioni o avverbi come tamquam, quasi con il congiuntivo secondo la consecutio temporum.
Si rendono in italiano con formule atte a esprimere una comparazione. Le ipotetiche sono introdotte da “come se, quasi che”.

Chela39

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Messaggioda giada » 12 set 2012, 17:26

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