Se questo è un uomo PRIMO LEVI Scrittura e pubblicazione

Messaggioda gruulive » 23 set 2012, 17:52

Scrittura e pubblicazione

Il testo venne scritto non per vendetta, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è scritto per soddisfare questo bisogno. Il romanzo, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l'accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l'esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi di spiegare in qualche modo l'incredibile verità dei lager nazisti.[2]
Il destino del libro doveva rivelarsi in un qualche modo imprevedibile, paragonabile da questo punto di vista alla sorte umana con i suoi più impensati alti e bassi:[3] infatti il manoscritto fu rifiutato da Einaudi in due occasioni, nel 1947 e nel 1952, visto favorevolmente da Natalia Ginzburg ma non da Cesare Pavese[4]. Venne dato alle stampe dalla casa editrice Francesco De Silva, che fece uscire però solo duemilacinquecento copie. Il successo e la notorietà del libro si fecero attendere fino al 1958, anno in cui il romanzo veniva ripubblicato proprio da Einaudi.
Anche dopo la pubblicazione, la scrittura dell'esperienza personale vissuta alla fine della guerra rimase perennemente un lavoro in corso. Successivamente a Se questo è un uomo venne ad esempio pubblicato il romanzo La tregua, che descrive l'interminabile viaggio nei paesi dell'est in cui era stato coinvolto Levi dopo la liberazione del campo. Quest'opera deve il suo titolo al fatto di rappresentare una fase in cui la mente del protagonista resta in parte libera dal pensiero assillante della prigionia. Un pensiero che comunque lo avrebbe riassalito al momento di ritornare a casa e anche negli anni successivi. Nel 1986, infatti, venne alla luce il saggio I sommersi e i salvati, che tornava a trattare la tematica del lager.
Tematiche

Dopo i versi introduttivi, la prefazione spiega quanto importante sia stato, per l'interessato, il fatto di essere stato internato solo nel 1944, periodo in cui le condizioni dei prigionieri erano ormai migliorate. L'autore dichiara di non aver inventato nessuno degli avvenimenti narrati.
È molto importante, da parte dell'autore, lo scopo di alternare la testimonianza del vissuto ad altri scorci in cui egli assume la prospettiva dello scienziato (si ricorda che Primo Levi era un chimico e che svolse queste mansioni anche nel campo di concentramento):[5] la società dei detenuti funziona secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato, ma senz'altro oggetto di analisi da parte del narratore.
Ricoprono tra l'altro un ruolo di primo piano le descrizioni dei rapporti sociali: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sulle dinamiche di gruppo dei detenuti, indicando come alcune regole di fratellanza o di civile convivenza vengano, per cause di forza maggiore, messe a tacere.[6] Hanno del resto un ruolo di primo piano le doti di carattere, gli stratagemmi ed i sotterfugi necessari per appartenere al gruppo dei privilegiati che sopravviveranno, se non all'intera durata della detenzione, almeno al prossimo periodo di crisi e terrore.[7]
Riassunto

Gergo di Auschwitz ed espressioni comuni


Di seguito sono riportati alcuni termini utilizzati dai deportati del campo di Auschwitz. In maniera analoga i detenuti di molti campi di concentramento svilupparono termini simili, ma in questo approfondimento si fa riferimento esclusivamente quelli utilizzati nel complesso di Auschwitz.
Block («blocco» o «baracca»): identificava le unità abitative dove alloggiavano i deportati, in condizioni di inimmaginabile sovraffollamento, costringendoli a dormire in 3-4 per ogni pagliericcio disponibile.
Blocksperre («chiudere i blocchi»): un ordine che imponeva a tutti i prigionieri di rientrare nei loro blocchi. Quest'ordine veniva impartito comunemente in vista di una selektion per evitare che gli internati vi si sottraessero.
Häftling («prigioniero»): termine che definiva l'internato. Spesso era utilizzato in associazione con il numero di matricola tatuato sull'avambraccio sinistro per identificare uno specifico prigioniero. Ad esempio, Primo Levi era Häftling numero 174.517.
Ka-Be (abbr. di Krankenbau): l'infermeria del lager.
Kapo: termine generico che indicava un detenuto che ricopriva una carica all'interno del campo e che spesso esercitava il comando su altri deportati.
Kommando: squadra di lavoro.
Muselmann («musulmano»), pl. Muselmänner: termine di origine ignota[8] che indicava un prigioniero sfinito dal lavoro e dalla fame, senza più alcuna volontà di sopravvivenza, destinato alla selektion.
Prominent: prigioniero che godeva di una condizione privilegiata rispetto agli altri internati.
Selektion («selezione»): selezione tra gli abili al lavoro e coloro da inviare immediatamente alle camere a gas effettuata dal personale medico tedesco all'arrivo dei convogli di deportati. Il termine indicava anche i periodici controlli medici effettuati all'interno del campo per selezionare ed eliminare i prigionieri più deboli (Muselmänner).
Sonderkommando: kommando, composto da prigionieri segregati, che lavorava presso i forni crematori e aveva l'obbligo di collaborare alle operazioni di smaltimento dei cadaveri.
L'enunciazione di eventi e situazioni segue tendenzialmente l'ordine cronologico, nonostante vi siano numerose eccezioni.
Il primo capitolo (Il viaggio) spiega la situazione degli ebrei italiani deportati a Fossoli nel campo di transito. Il trasferimento in Germania è comunque imminente e la maggior parte dei prigionieri sa di andare incontro alla morte quasi sicura. Il treno fa tappa al Brennero, a Salisburgo, a Vienna e ancora in Polonia. Nella carrozza ferroviaria i deportati vengono trasportati in condizioni disumane, sicché parecchi di loro muoiono.
Nel secondo e nel terzo capitolo (Sul fondo ed Iniziazione) vengono descritte le prime scene nel campo di concentramento. A ciascuno dei prigionieri, chiamati in tedesco Häftling,[9] viene assegnato un numero che costituisce la loro nuova identità con decorrenza immediata. Si tratta di una identità carica peraltro di significati fin dall'inizio. Al suo arrivo, il protagonista ignora ancora che grazie a quelle cifre è possibile stabilire provenienza e grado di anzianità dei vari prigionieri. Fin troppo in fretta si apprendono le prime leggi del campo, come quella di non fare domande, di fingere di capire tutto, di saper apprezzare il valore di oggetti essenziali alla sopravvivenza come le scarpe ed il cucchiaio. Primo Levi tiene molto a spiegare il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. A proposito di questo paesaggio linguistico variegato, Levi svolge un paragone del lager con la città e la torre di Babele.[10]
Ka-Be è il nome abbreviato dell'infermeria (baracca detta Krankenbau) che dà il titolo al quarto capitolo. In seguito ad un problema al piede, Levi viene assegnato a questo blocco, fatto che gli concede una sorta di tregua, ma non di vera e propria speranza. Come dovrà capire, il numero che il protagonista porta tatuato sul braccio si trova di poco al di sotto di duecentomila: dato che il campo ospita poche decine di migliaia di persone, è logico che centinaia di migliaia di persone sono state uccise o sono morte di stenti prima ancora della deportazione del protagonista. Del resto, nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte delle persone ancora vive è destinata a morire a medio termine. È questo quanto un gruppo di prigionieri ebrei fa capire a Levi, non senza fargli sentire un certo disprezzo. Questo atteggiamento ostile è in parte dovuto al fatto che il protagonista - essendo italiano - non parla la loro lingua, lo yiddish.
Il quinto capitolo Le nostre notti contiene tra l'altro una celebre pagina in cui il protagonista illustra il suo dormiveglia, una situazione nella quale i confini tra realtà e sogno si dissolvono. Si tratta dunque di un sonno che non regalerà mai il necessario riposo. Ogni notte infatti Levi, come gli altri internati, è periodicamente assalito da due incubi ricorrenti: Il primo riporta l'autore a casa, ignorato dai suoi amici e familiari mentre racconta le atrocità subite nel lager; il secondo illude invece Levi d'aver davanti a sé del cibo che poi scompare repentinamente ogni qual volta prova a mangiarlo.
Il lavoro, sesto capitolo, illustra tra l'altro la scarsa predisposizione di Levi ai lavori pesanti: dovendo trasportare carichi di grosse dimensioni, il protagonista rischia di morire estenuato. Ciononostante, Levi approfitta della solidarietà del compagno Resnyk, il quale lo aiuta generosamente nei compiti più gravosi.
Il settimo capitolo, Una buona giornata, presenta una nuova fase di tregua nella vita del lager. Il fatto di poter mangiare a sazietà costituisce un evento eccezionale per i prigionieri, dato che le dosi stabilite legalmente non coprono il fabbisogno energetico giornaliero. La parvenza di un minimo di normalità, d'altro canto, favorisce il riemergere della tristezza, altrimenti rimossa durante le giornate dominate dalle percosse, dalla fame e dalla spossatezza.
Il titolo dell'ottavo capitolo, Al di qua del bene e del male, allude all'opera Al di là del bene e del male di Nietzsche. Al contrario dell'eroe nietzschiano, il prigioniero del lager viene presentato nella sua nullità. Questo capitolo illustra inoltre il significato e le ripercussioni di un fatto apparentemente banale come il cambio della biancheria (il cosiddetto Wäschetauschen). Infatti, sul mercato del lager le camicie dei prigionieri vengono utilizzate come merce di scambio: nel campo si è sviluppato un mercato nero, una sorta di borsa soggetta a regole descrivibili con una certa precisione. Il valore di scambio, quindi il prezzo di cose e materiali è soggetto a sbalzi e ad improvvise cadute, in funzione della variabile disponibilità dei beni e dei capricci del mercato: oltre ai meccanismi di domanda e offerta, giocano un ruolo molto importante le manovre di speculazione messe in atto dai prigionieri.
Uno dei capitoli di maggiore importanza è senza dubbio il nono, dedicato a i sommersi ed i salvati (il titolo di questo capitolo verrà ripreso per battezzare l'importante saggio del 1986): Levi spiega come questa distinzione (tra candidati alla sopravvivenza o alla morte) sia per lui di importanza assai maggiore rispetto a quelle di bene e di male, praticamente impossibili da definire in maniera obiettiva. Levi passa quindi ad illustrare le vicende di alcuni detenuti a mo' di exempla: come mostrano le brevi note biografiche dedicate a questi internati, il miglior modo per sopravvivere è senza dubbio quello di conquistarsi un posto al sole facendosi incaricare di mansioni speciali, diventando ad esempio un cosiddetto Kapo. La maniera esemplare per far parte dei votati alla morte sicura è invece quella di adattarsi alle regole ufficiali del campo, per poi indebolirsi lentamente a causa dell'esaurimento, della denutrizione e delle malattie.
Esame di chimica: in seguito a questa prova sostenuta presso il dottor Pannwitz, Levi viene ammesso alle mansioni di laboratorio. È questo uno dei principali fattori a garantirne la sopravvivenza nel lager, sottraendolo al destino dei cosiddetti Muselmänner, cioè dei votati alla morte certa.
L'undicesimo capitolo, Il canto di Ulisse, è ispirato al ventiseiesimo canto dell'Inferno, in cui viene narrata la vicenda umana di Ulisse, guidato - come Dante e come Levi - dalla sete di sapere: il protagonista cerca di ricordarsi i versi danteschi e di tradurli ad un suo compagno di prigionia.
I fatti dell'estate: questo capitolo si riferisce al tracollo militare dei tedeschi, fatto quindi noto ai prigionieri. Neanche alla fine della guerra, dopo lo sbarco in Normandia e la gigantesca controffensiva sovietica in Russia si sviluppa tra gli Häftling una speranza vera e propria: i fronti alleati sono infatti lontanissimi, mentre la necessità di risolvere gli impellenti problemi della sopravvivenza quotidiana continua ad essere onnipresente.
Ottobre 1944 (tredicesimo capitolo) illustra la sopravvivenza di Levi ad una retata di selezione da parte dei nazisti, mentre il capitolo Kraus (quattordicesimo) propone il ritratto di un prigioniero del lager.
Die drei Leute vom Labor (le tre persone del laboratorio) descrive alcune impressioni sulla nuova vita da chimico del protagonista, senza tuttavia approfondire le funzioni specifiche del laboratorio, né le mansioni svolte dal narratore. La presenza di tre donne crea un effetto estraniante.
Nel capitolo L'ultimo viene rappresentata la figura amica di Alberto, il bresciano Alberto Dalla Volta, già nota dai capitoli precedenti. Costituisce di una specie di alter ego per il protagonista. Si tratta di un personaggio sempre solidale ed estremamente ricco di inventiva e diplomazia, nonché di una figura assai amata nel campo.
Scritto sotto forma di diario, Storia di dieci giorni costituisce l'epilogo della vicenda. Siccome l'arrivo dell'Armata Rossa è oramai imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo facendo partire da Auschwitz almeno i prigionieri sani. Dato che si è ammalato di scarlattina, Levi è ricoverato e viene escluso dal trasferimento, senza sapere che però quella spedizione finirà per portare i prigionieri verso la fine (si tratta della marcia della morte ed è questa la sorte riservata ad Alberto). Sopravviveranno invece molti dei pazienti che, come Levi, rimangono nel campo. Il protagonista e altri due prigionieri si daranno da fare per aiutare gli altri malati della loro baracca mentre aspettano l'arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio 1945.
Lettura

Le riflessioni dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista ed affiancarlo idealmente nella sua esperienza. Per questo, la lettura del libro è un'esperienza intensa per il lettore, il quale rivive insieme all'autore parte della sofferenza di quei giorni. Si tratta inoltre di una esperienza che porta alla riflessione e che non di rado fa sorgere delle domande, per cui Levi ne pubblicò una parte tentando di rispondere.
Per esempio, il lettore sarà spesso stupito dal fatto che nel libro si stenta a trovare un giudizio morale negativo nei confronti di chicchessia.[11] Si cercherà quindi invano una qualche espressione di rancore nei confronti del nazismo. La mancanza di sentimenti del genere fece parlare di un modo di scrivere classico, dunque essenziale e composto, una scrittura che pone Levi tra i grandi della letteratura. Levi spiegò in seguito ai lettori che era sua intenzione quella di mantenere un approccio razionale, assumendo il ruolo del testimone e lasciando al lettore il compito di formarsi un'opinione sull'accaduto.
Nondimeno, come riportato nell'appendice al romanzo, a Levi venne chiesta una spiegazione sull'origine dell'antisemitismo nazista. Questa, secondo l'autore, andava inquadrata in un fenomeno più ampio, quello dell'ostilità sviluppata nei confronti dei diversi.[12] Il lettore intuisce quindi che la scrittura del mondo dei lager può indicare, in qualche modo, un qualcosa di più ampio che può arrivare ad abbracciare l'intero mondo della condizione e della natura umana, tematica cui accennava lo stesso Levi parlando del campi di concentramento come fonte di sapere sugli uomini e sul mondo,[13] comparabile addirittura ad un gigantesco, irripetibile esperimento.[6]
La metafora dell'Inferno dantesco [modifica]



Cancello del lager: Arbeit macht frei ("il lavoro rende liberi")
Come accennato a proposito del capitolo dedicato ad Ulisse, si incontrano ripetutamente nel libro riferimenti alla Divina Commedia: la detenzione in un lager viene in qualche modo visto come viaggio nell'oltretomba, in un mondo dal quale si crede di non poter più uscire, similmente a quanto accade nell'Inferno dantesco. Si propongono in quanto segue alcuni dei numerosi riferimenti intertestuali all'opera di Dante:
Il viaggio verso il lager può essere visto come il trasporto delle anime da traghettare verso l'inferno attraversando il fiume Acheronte, laddove un soldato del campo copre un ruolo simile a quello del tremendo nocchiero Caronte all'arrivo ad Auschwitz. A differenza di Caronte, il soldato nazista si esprime con un tono grottescamente cortese per farsi consegnare gli oggetti di valore dei prigionieri.
La tristemente nota scritta sul portone di accesso (Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi) viene proposta come una riscrittura dell'incipit del terzo canto dell'Inferno: nella cantica dantesca, la frase riferita alla porta di ingresso (Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente) indica che attraverso quell'ingresso si accede al mondo dei dannati.[14]
L'infermeria, detta Ka-Be, viene paragonata al limbo, un mondo escluso dalle categorie del bene e del male, privo di punizioni vere e proprie e, in un certo senso, un momento di tregua durante l'avventura del lager nazista.
Al momento di sostenere l'esame di chimica per essere trasferito in laboratorio, il protagonista si imbatte nel dottor Pannwitz, che rassomiglia in qualche modo ad un giudice infernale. Come il Minosse dantesco (che assegna a ciascuna delle anime dannate un determinato cerchio dell'inferno e quindi una punizione), il dottore ha la facoltà di decidere delle mansioni e del destino altrui. Secondo la narrazione di Levi, il Pannwitz siede formidabilmente: si tratta di un riferimento nascosto al quinto Canto dell'Inferno (Stavvi Minòs orribilmente e ringhia, v. 4).
Nel capitolo Sul fondo, si indica lo stato di brutale sovvertimento dei valori morali all'interno del lager con i celebri versi danteschi: Qui non ha luogo il Santo Volto! / Qui si nuota altrimenti che nel Serchio![15]

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Messaggioda giada » 24 set 2012, 7:11

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