La poesia apre con due stupendi endecasillabi, ma poi alterna versi in forma chiusa ad altri liberi, che variano dai novenari, agli ottonari, ai settenari variamente accentati, dando una sensazione di movimento e di varietà di temi. Lo schema metrico di questa poesia di Alda Merini, pur libero, rivela una sua struttura interna sia nella sequenza delle posizioni che nella ricorrenza delle rime. Da ambedue i punti di vista la poesia
sembra disporsi in forma di circolo - ossia ‘richiudersi’ - ripetendo due posizioni uguali (due endecasillabi di seguito in apertura e due ottonari di seguito in chiusura) e riprendendo in ben due versi (l’8 e il 9) la rima A dell’1. I versi ‘intermedi’ – dal 3 al 7 – sono tenuti insieme da un sottile sistema di assonanze (cfr. lieve - erbe, ma anche, all’interno dello stesso verso, scatenar - tempesta, frumenti – gentili) e di allitterazioni (potesse scatenar tempesta, vede piovere sull’erbe,
sui grossi). Per quanto riguarda le posizioni, il verso 3, pur essendo solo preceduto da, e non concluso con una virgola, costituisce comunque una proposizione incidentale che quasi ribadisce e parafrasa, aprendo la porta all’ipermetaforicità del testo, quanto appena detto nel verso 2. Dal punto di vista del modello metrico ritmico, non si possono trascurare, in questo componimento, i ‘rientri’ dei versi 2, 3, 4 e 6, che invitano ad un attacco leggermente ritardato, quasi alla necessità
d’imprimere nella lettura di quei versi un inizio di second’ordine rispetto a quelli non rientranti.Complessivamente il ritmo di questa poesia è piano, sereno, ponderato e consolatorio – in un
equilibrio difficile ma ben calibrato con il suo contenuto. La lettura si risolve tutta nelle tre proposizioni marcate dal punto finale, decrescenti in lunghezza ma via via più dense di significati. A livello morfo-sintattico non si riscontrano molte figure retoriche; la sostituzione del mese
(marzo) con la stagione nel verso iniziale potrebbe essere forse considerata una sineddoche o addirittura una metonimia. L’uso del plurale ‘frumenti’, nel verso 7, è probabilmente indotto dalla
volontà di insistere sull’uso del suono ‘i’ (allitterazione).
‘Il ventuno a primavera’, in ogni caso, è la cifra del significato complessivo della poesia. La Merini sostituisce ‘marzo’ con la stagione che esso inaugura: la primavera. In questo modo, situa la
propria nascita nel giorno che dà l’avvio alla stagione della rinascita della natura, nel giorno chiave della liberazione dei sensi dall’inverno oppressore, e si arroga in un certo senso un ‘diritto di primavera’ che fa di lei un canale privilegiato fra questo mondo e un altro, primordiale e pagano, di cui lei è rivelatrice tramite le sue epifanie poetiche. Nel contempo però nel mese sottaciuta si cela la connotazione di ‘follia’ – marzo pazzerello, il carnevale, tutti attributi che derivano
d’altronde al mese di marzo proprio perché si è sempre assistito, nel momento del risveglio della primavera e dell’addolcirsi delle temperature, a fenomeni di ‘follia’ ossia di perdita dei controllo, e
tradizionalmente era considerato un mese da incubo per chi lavorava negli ospedali psichiatrici. il verso due introduce esplicitamente il tema della follia e nel contempo si schermisce dietro un innocente ‘non sapevo’ – è la primordialità dell’atto emotivo non mediato dalla ragione. Il richiamo alla natura si fa invece esplicito nel verso 3: aprire le zolle. L’aratura , che spacca la crosta dura che l’inverno imprime ai campi, fa fuoriuscire gli effluvi della terra e mette in contatto il mondo esterno con quello infero. Ma sono, ancora una volta, gli inferi pagani e non comportano alcunché di demoniaco o di temibile. È il regno dove Proserpina vive tre (o sei, secondo altre versioni del mito) mesi l’anno; un mondo altro, ma pur sempre in relazione con il nostro. Ma
andiamo per ordine. ‘Non sapevo’, dice il poeta, che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta. Si reclama innocenza e rivendica gli atti folli alla loro primordialità, non sono atti da
considerarsi nel contesto sociale del mondo di qui e hanno scatenato tempesta per gli altri, non per lei. Proserpina, qui simbolo anche dei ‘frumenti’ – in quanto figlia di Demetra, infatti piange
vedendo piovere sulle erbe, poiché anch’essa ignara delle ragioni di quella ‘tempesta’. È definita ‘lieve’ ed i suoi frumenti sono ‘gentili’: tutti attributi d’innocenza e soavità cui si contrappone un
agente esterno (quella tempesta scatenata inconsapevolmente, con le sue piogge) violento, intrusivo ed inspiegabile. La poesia chiude comunque con una nota di speranza. ‘Forse’ – dice la
Merini – ‘è la sua preghiera’. Già in questa poesia sono presenti temi cari ad Alda Merini come i riferimenti alla mitologia e alla religiosità cristiana.
Il pianto di Proserpina - la pioggia - è anche la sua preghiera, così come la sofferenza e il pianto dell'autrice sono riscattati dalla poesia, che è essa stessa una forma di trascendenza.