Fons erat limpidus, nitidis undis argenteus; gramen erat circa, silvaque densa ...

La sorgente era limpida, argentea di acque splendenti; c'era l'erba intorno, e una fitta foresta.

Narciso, spossato per il caldo, arriva alla sorgente e vuole calmare la sete. Mentre beve, rapito dall'immagine riflessa, si innamora del volto senza corpo. Il ragazzo si stupisce davanti a sé stesso e, fisso, contempla il bellissimo viso. Distesosi a terra, osserva i propri occhi e i capelli, degni di Apollo, e le gote imberbi e il collo bianco come l'avorio e la grazia della bocca e rossore mescolato al candore niveo, e ammira tutte insieme le cose per le quali è mirabile: desidera, inconsapevole, sé stesso, e ama ardentemente la propria immagine.

Immerge le sue braccia nell'acqua e abbraccia il collo intravisto. O ingenuo, perché abbracci invano effimeri fantasmi? Il ragazzo che scorgi è l'ombra dell'immagine riflessa: viene e si ferma con te; con te se ne va. Narciso, però, guarda con occhio insaziabile l'ingannevole figura e, sollevatosi un poco, grida: Perché, o ragazzo senza pari, mi inganni, dove fuggi? Di certo non fuggi il mio aspetto. Quando io ti ho offerto le braccia, tu mi hai offerto le braccia, quando io ti ho sorriso, tu mi sorridi.

Io sono un giovane! Ho compreso, e la mia immagine non mi tradisce; ardo per l'amore di me stesso. Quello che bramo, sta con me. E la sofferenza, ormai, toglie le forze, e la morte è vicina. Parlò, e con le lacrime increspò le acque e colpì il petto nudo con le bianche mani. Chinò la testa stanca tra l'erba verde, e la morte chiuse gli occhi del bellissimo Narciso.

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