Tum Q. Catulus et C. Piso neque precibus neque pretio neque gratia Ciceroni falsa de Caesare dicere persuaserunt ...

A quel tempo Q. Catulo e C. Pisone non convinsero Cicerone a dire falsità riguardo a Cesare, né per mezzo di suppliche, né per mezzo di denaro, né per mezzo della (loro) influenza.

Essi nutrivano infatti ostilità nei confronti di Cesare: Pisone era stato citato in giudizio poiché era stato accusato di concussione da Cesare; Catulo era acceso da un antico odio perché, in età matura, era stato vinto dal giovanissimo Cesare nella candidatura al pontificato.

Poiché non riuscirono ad istigare il console Cicerone ad un crimine tanto grande, Pisone e Catulo avevano suscitato un notevole sfavore contro Cesare: denunciarono singolarmente ai cittadini falsi delitti commessi da Cesare. Numerosi cavalieri romani, che difendevano, armati, il tempio della Concordia, indotti tanto dalla gravità del pericolo quanto da incostanza d'animo, accerchiarono Cesare con spada e pugnali e dissero: Sei un pericolo, perché hai commesso molti reati, e la morte ti schiaccerà.

Per contro Cesare, niente affatto intimidito dalle minacce, rispose così: Non Cesare assassinerete, ma la rappresentazione di Cesare, dipinta da uomini disonesti. I cavalieri, scossi dalle poche parole di Cesare, si ritirarono.

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