Ob haec diu cunctatus an ...

Essendo rimasto, per via di queste vicende, a lungo col dubbio se rimandare le cose che si era riproposto di affrontare di fronte al senato, alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava, intorno alla quinta ora uscì, e, insieme a tutti gli altri che teneva con la mano sinistra, mescolò un biglietto che denunciava l'attentato, datogli da un tale incontrato per via (obvio). Poi, dopo aver ucciso molte vittime, sebbene non riuscisse ad ottenere presagi favorevoli, entrò nella curia. Mentre si sedeva, i cospirati lo circondarono con la scusa del saluto doveroso, e immediatamente Tillio Cimbrico, che si era assunto i compiti iniziali, gli si accostò particolarmente vicino, come se fosse intenzionato a chiedergli qualcosa, quindi, mentre egli faceva cenno di no, e con il gesto rimandava ad un altro momento, gli afferrò la toga da entrambe le spalle.

Alla fine, mentre egli gridava: "Questa è certamente violenza", uno dei due Casca lo colpisce da dietro, poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo trafisse con uno stilo, e, tentando di scappare fuori, fu frenato da un altro colpo. Non appena si accorse che, branditi i pugnali, veniva assalito da tutte le parti, con la toga si avvolse la testa, e, contemporaneamente, con la mano sinistra tirò l'orlo (della toga) fino al fondo delle gambe, per cadere in maniera più decorosa, con anche la parte inferiore del corpo coperta.

E così, fu ucciso con ventitré pugnalate, avendo emesso un unico gemito, senza voce, in occasione del primo colpo.

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