Propter caedem apud Algidum ...

Così grande era il terrore arrecato a Roma a causa della strage presso l'Algido, che i senatori pensavano che nella città si dovessero tenere delle sentinelle, e che ordinarono che, tutti quelli che per età fossero in grado di imbracciare le armi, custodissero le mura e formassero delle stazioni di guardia in difesa delle porte, che l'accampamento fosse trasferito da Fidene nel territorio Sabino, e che, con un'iniziativa spontanea di guerra, i nemici venissero dissuasi dalla decisione di attaccare Roma. I decemviri, nel frattempo, mandano a fare esplorazioni, allo scopo di prendere un luogo per l'accampamento, L. Siccio, il quale, per via dell'ostilità nei confronti dei decemviri, con discorsi segreti diffondeva tra i soldati le proposte di eleggere dei tribuni e di una ribellione.

Ai soldati che avevano mandato come compagni nella sua spedizione, viene invece affidato il compito di ucciderlo dopo averlo aggredito in un luogo adatto. Non lo uccisero senza che si vendicasse: infatti, intorno a lui che faceva resistenza, caddero alcuni degli attentatori, mentre quello, fortissimo, e di un coraggio pari alle forze, pur circondato, si difendeva.

Dopo che una coorte fu partita, col permesso dei decemviri, per seppellire coloro che erano caduti, e dopo che i soldati ebbero visto Siccio che giaceva armato nel mezzo, e tutti i cadaveri rivolti verso di lui, e dei nemici né alcun cadavere, né le orme di quelli che se ne andavano, riportarono il corpo, raccontando che, senz'altro, era stato ucciso dai loro.

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