Petis ut tibi avunculi mei exitum scribam, quo verius tu tradere posteris possis. Gratias tibi ago: nam scio mortem eius, si celebrabitur a te, immortalem gloriam adepturam esse. Ille enim, etiamsi ...

Tu chiedi che io ti scriva la morte del mio zio materno, affinché tu la possa tramandare ai posteri in maniera più veritiera.

Ti rendo grazie: infatti so che la morte di lui, se verrà celebrata da te, otterrà gloria immortale. Quello, infatti, anche se scrisse numerose opere, è tuttavia destinato a vivere per sempre proprio perché morì nella distruzione di quelle bellissime terre, come le città, come le popolazioni cancellate da quella memorabile disgrazia; però all'immortalità di lui aggiungerà moltissimo l'eternità dei tuoi scritti. Egli si trovava a Miseno, dove dirigeva la flotta imperiale.

Nove giorni prima delle Calende di Settembre, all'incirca all'ora settima, mia madre gli indica una nube inconsueta, sia per grandezza, sia per aspetto, che si sollevava dal monte Vesuvio, l'aspetto della quale era del tutto simile ad un pino. La cosa, a quell'uomo coltissimo, sembrò seria e da conoscere più da vicino. Comandò di preparare una liburnica (liburnica = nave rapida e leggera usata dai Liburni) e alcune quadriremi, e di essere portato via per dirigersi a Stabia, allo scopo di portare aiuto non soltanto agli amici, ma anche ai molti che, per via dell'amenità della costa, possedevano delle ville in quel luogo.

Si affrettava verso il luogo dal quale gli altri scappavano a tal punto esente da paura, al fine non solo di osservare, ma anche di annotare tutti gli sviluppi e tutte le qualità di quella sciagura.

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