Cicerone al fratello Quinto

Mi frater, mi frater, mi frater, tune id veritus...superstitem reliquisses!

Fratello mio, fratello mio, fratello mio, forse tu temi questo cioè che io indotto da qualche iracondia invierei presso di te i fanciulli senza lettere?

O anche che non vorrei vederti? Io dovrei arrabbiarmi con te? Io potrei arrabbiarmi con te? Si capisce, tu infatti mi hai afflitto e io non ti ho perduto miseramente. Quel mio elogiato consolato mi strappò te, i figli, la patria, le fortune, vorrei che non ti sia strappato nulla tranne me soltanto.

Ma certamente da te a me sono sempre venute meno tutte le cose oneste e piacevoli: da me a te il lutto della mia calamità, il timore della tua, il rimpianto, il cordoglio, la solitudine. Io non vorrei vederti? Anzi in verità non vorrei essere visto da te (che tu mi vedessi). Infatti non vedresti tuo fratello: non colui che avevi lasciato, non quello che hai conosciuto: neppure la sua impronta né l'ombra, ma una certa immagine di un morto che respira.

E volesse il cielo che vedessi o ascoltassi prima che io fossi morto! Volesse il cielo che tu mi lasciassi non solo testimone della vita, ma anche della mia dignità!
(By Maria D. )

Versione tratta da Cicerone

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