Hannibali plurimum audaciae ad pericula capessenda, plurimum consilii inter ipsa pericula ...

Annibale aveva moltissima audacia nell'affrontare i pericoli, moltissima accortezza in mezzo ai pericoli stessi.

Il (suo) corpo non poteva essere fiaccato, né il suo animo (poteva) essere sopraffatto da nessuna fatica. La sua capacità di sopportazione del caldo e del freddo era la stessa; la misura del mangiare e del bere era determinata dal bisogno naturale, non dalla golosità; le ore della veglia e del sonno non (erano) distinte né dal giorno né dalla notte: ciò che eventualmente avanzava dallo svolgere attività, era concesso al riposo; e quelle non erano ricercate né in un morbido letto né nel silenzio; spesso, molti lo videro che giaceva coperto da un mantello militare sulla nuda terra, tra le sentinelle e i corpi di guardia dei soldati.

Il modo di vestire non era affatto vistoso tra i coetanei: le (sue) armi e i (suoi) cavalli (invece) si facevano notare. Egli medesimo era di gran lunga il migliore dei cavalieri e dei fanti; andava in battaglia per primo, si ritirava per ultimo, una volta che la battaglia si era conclusa.

Grandi vizi bilanciavano queste così grandi virtù dell'uomo: spietatezza disumana, perfidia più che Cartaginese, nessuna sincerità, nessun senso del sacro, nessun timore degli dèi, nessun rispetto dei giuramenti, nessuno scrupolo religioso. Con questa naturale disposizione di virtù e di vizi militò in Spagna per tre anni, sotto Asdrubale come comandante.

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