Senofonte - Apologia di Socrate I, II, III, IV

Apologia di Socrate - Senofonte -
PASSIM 1, 2, 3 e 4
TESTO GRECO E traduzione
ΑΠΟΛΟΓΙΑ ΣΩΚΡΑΤΟΥΣ [ΠΡΟΣ ΤΟΥΣ ΔΙΚΑΣΤΑΣ]

[1]   Σωκράτους δὲ ἄξιόν μοι δοκεῖ εἶναι μεμνῆσθαι καὶ ὡς ἐπειδὴ ἐκλήθη εἰς τὴν δίκην ἐβουλεύσατο περί τε τῆς ἀπολογίας καὶ τῆς τελευτῆς τοῦ βίου....

Traduzione

1. Di Socrate, poi, mi sembra giusto ricordare anche le decisioni che prese, dopo essere stato citato in giudizio, riguardo alla difesa e alla conclusione della propria vita. Anche altri hanno già scritto su questo argomento, e tutti sono riusciti a ricreare la superbia delle sue parole:

e da ciò risulta evidente che Socrate parlò realmente in questo modo. Ma il fatto che ormai egli, per se stesso, considerasse la morte più desiderabile della vita, non lo hanno mostrato con sufficiente chiarezza, e di conseguenza la sua superbia appare insensata. 2. Tuttavia Ermogene, figlio di Ipponico, che era suo discepolo, ha riferito su questo soggetto in modo tale da fare apparire la superbia del suo parlare in accordo con il suo pensiero. Egli infatti racconta d'aver detto, vedendolo impegnato a discutere di qualunque argomento piuttosto che parlare del suo processo: 3. «Non sarebbe opportuno, Socrate, che tu esaminassi anche quel che dovrai dire in tua difesa?». E Socrate rispose: «Non ti sembra che io abbia trascorso l'intera vita preparando la mia difesa?». «Come?» domandò lui. «Perché ho trascorso tutta la mia vita senza commettere alcuna ingiustizia, e credo che questa sia la miglior preparazione della propria difesa»'? 4. L'altro riprese: «Ma non vedi che i tribunali ateniesi, ingannati dai discorsi, hanno spesso fatto morire uomini che non avevano commesso alcuna ingiustizia, mentre spesso hanno prosciolto i colpevoli, commossi da un discorso o sedotti dalla grazia dell'oratore?». «Per Zeus!» disse «sono già due volte che il demone mi si oppone mentre m'accingo a mettere mano alla mia difesa!». 5. Poiché Ermogene osservò: «È straordinario quello che dici», Socrate rispose: «Ritieni davvero che sia un fatto straordinario che anche il dio ritenga meglio che io ora muoia?

Non sai che fino a oggi non avrei potuto concedere a nessun uomo d'aver vissuto meglio di me? Sapevo - ed è la cosa più dolce - di avere trascorso con pietà e giustizia l'intera mia esistenza, e di conseguenza consideravo me stesso con grande stima, e scoprivo che coloro che mi frequentavano provavano gli stessi sentimenti nei miei confronti. 6. Ora, io so che se avanzerò ancora negli anni dovrò necessariamente subire i mali della vecchiaia - vedere peggio, sentirci meno, comprendere con difficoltà, dimenticare con facilità quel che si è appreso. Se mi accorgessi della mia decadenza e dovessi rimproverare me stesso, come potrei» disse «vivere ancora con gioia? 7. E forse» aggiunse «anche il dio, nella sua benevolenza, mi offre la possibilità non solo di concludere la vita a un'età opportuna, ma anche nel modo più agevole. Se ora verrò condannato, infatti, è evidente che mi sarà possibile morire nel modo che è giudicato più facile da coloro che si intendono di tale questione, che crea meno problemi per i nostri cari, e che fa ricordare con più rimpianto chi muore. Quando dietro di sé non si lascia nessun ricordo vergognoso e spiacevole nell'anima dei presenti ma ci si spegne con un corpo incolume e un'anima capace di amare, come si potrebbe non essere oggetto di rimpianto? 8. Giustamente gli dèi si opposero allora» disse «alla preparazione del mio discorso, quando sembrava che dovessimo cercare in ogni modo gli argomenti adatti a evitare la condanna. Se fossi riuscito in questo, è evidente che, invece di una rapida interruzione della vita, avrei preparato a me stesso una fine tra le sofferenze della malattia o della vecchiaia, nella quale confluisce ogni disgrazia, senza alcun conforto.

9. Per Zeus, » disse «Ermogene! Non mi prenderò certo a cuore una sorte di questo genere, ma se dovrò offendere i giudici illustrando loro i benefici che ritengo di aver ricevuto dagli dèi e dagli uomini, e l'opinione che ho di me stesso, sceglierò di morire piuttosto che continuare a vivere indegnamente elemosinando una vita peggiore della morte». 10. Aveva preso questa risoluzione, disse Ermogene. Poiché i suoi avversari lo avevano accusato di non riconoscere gli dèi che la città riconosceva e di introdurre invece nuove divinità, e di corrompere i giovani, presentatosi in tribunale disse: 11. «Io, o giudici, mi stupisco di Meleto per questo fatto, in primo luogo: in quale modo egli può sapere e affermare che io non riconosco gli dèi che la città riconosce? Perché tutti quelli che erano presenti potevano ben vedermi compiere sacrifici nelle feste comuni e sui pubblici altari, e anche lo stesso Meleto avrebbe potuto, se avesse voluto.

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