Si sono affrontati ben altri rischi (Versione di latino Cesare)

Si sono affrontati ben altri rischi - versione latino di Cesare
traduzione dal libro VELIM

Haec cum animadvertisset, convocato consilio omniumque ordinum ad id consilium adhibitis centurionibus, vehementer eos incusavit: primum,...

Si quos adversum proelium et fuga Gallorum commoveret, hos, si quaererent, reperire posse diuturnitate belli defatigatis Gallis Ariovistum,...

Cesare, messo in allarme, riunì il consiglio di guerra e convocò anche i centurioni di ogni grado.

Li rimproverò aspramente, perché, soprattutto, avevano la presunzione di chiedersi e di rimuginare dove li portasse e con quali intenzioni. Sotto il suo consolato, Ariovisto aveva ricercato con molta ansia l'amicizia del popolo romano: chi poteva immaginarsi che sarebbe venuto meno ai propri doveri così avventatamente? Dal canto suo, era convinto che Ariovisto, conosciute le richieste e constatata l'equità dei patti proposti, non avrebbe respinto l'appoggio di Cesare e del popolo romano. E se, spinto da un demenziale impulso, avesse mosso guerra ai Romani, che cosa mai dovevano temere? Che motivo c'era di non aver più fiducia nel valore dei soldati o nella sua efficienza di generale? Ai tempi dei loro padri avevano già affrontato il pericolo rappresentato da quei nemici, quando i Cimbri e i Teutoni erano stati sconfitti da C. Mario e l'esercito si era meritato non meno gloria del comandante stesso; un pericolo simile lo avevano corso, e non erano passati molti anni, anche in Italia con la rivolta degli schiavi, che però si erano avvalsi della pratica e della disciplina imparate dai Romani. Tali esempi permettevano di giudicare come sia positiva in sé la fermezza d'animo: proprio il nemico, temuto a lungo e senza motivo quando era privo d'armi, lo avevano successivamente sconfitto quando era armato e già vincitore. Infine, i Germani erano lo stesso popolo con il quale gli Elvezi si erano più volte scontrati, non solo nei propri territori, ma anche nei loro, riportando la vittoria nella maggior parte dei casi. E gli Elvezi non erano riusciti a tener testa all'esercito romano.

Chi era rimasto scosso perché i Galli erano stati sconfitti e messi in fuga, avrebbe scoperto, se si fosse informato, che Ariovisto aveva logorato i suoi avversari con una guerra di attesa, tenendosi per molti mesi in un accampamento tra le paludi, senza esporsi mai. Poi, quando ormai i Galli disperavano di poter combattere e si erano disuniti, li aveva assaliti, riuscendo, così, a sconfiggerli grazie ai suoi calcoli e ai suoi piani più che al suo valore. Ma se c'era spazio per questi calcoli contro dei barbari privi di esperienza militare, neppure Ariovisto stesso si illudeva di poter così sorprendere il nostro esercito. Chi esprimeva il proprio timore, fingendo di essere preoccupato per le scorte di grano e per la strada molto stretta, era un insolente, perché osava negare il senso del dovere del comandante o addirittura voleva impartirgli delle direttive. I suoi compiti di comandante erano di indurre i Sequani, i Leuci e i Lingoni a fornire il grano, ormai maturo nei campi; quanto alla strada, avrebbero giudicato tra breve essi stessi. Se si mormorava che i soldati non avrebbero eseguito gli ordini, né levato il campo, non se ne curava affatto:

conosceva, infatti, casi di disobbedienza da parte delle truppe, ma si trattava di comandanti che avevano fallito un'impresa ed erano stati abbandonati dalla fortuna dei quali era stato scoperto qualche misfatto e dimostrata l'avidità. Ma tutta la sua vita comprovava la sua onestà, la guerra contro gli Elvezi la sua fortuna. Perciò, avrebbe dato subito l'ordine che voleva rimandare a più tardi: avrebbe levato le tende la notte successiva, dopo le tre, per accertarsi al più presto se in loro prevaleva la vergogna, unita al senso del dovere, oppure la paura. E se, poi, nessuno lo avesse seguito, si sarebbe messo in marcia, comunque, con la sola decima legione, su cui non aveva dubbi: sarebbe stata la sua coorte pretoria. Nei confronti della decima legione Cesare aveva avuto una benevolenza particolare e in essa riponeva la massima fiducia per il suo valore.

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