Cicerone e Bruto Elogio dell'eloquenza

Feci, inquam, istuc quidem et saepe facio. Nam mihi, Brute, in te intuenti crebro in mentem venit vereri, ecquodnam curriculum aliquando...

Ho fatto, ripeto, così davvero e spesso faccio. Infatti, Bruto, quando frequente ti guardo, mi viene in mente da chiedermi con preoccupazione se la tua natura ammirevole, la tua squisita dottrina e la tua non comune operosità avranno mai una buona volta spazio.

Infatti, quando ti dedicavi a processi importantissimi, e la mia età cedendo a te, e sottoponendo i fasci per riverenza, improvvisamente in città, mentre altre cose andavano in rovina, anche quella stessa eloquenza, su cui stiamo per iniziare la discussione, è ammutolita.

Allora egli: a causa di tutte le altre cose, disse, costì mi affliggo e credo bisogna rattristarsi; dell'eloquenza, però, mi piacciono non tanto il vantaggio e la gloria, quanto lo studio stesso e l'esercizio; poiché alcuna cosa, non mi sottrarrà specialmente sapendo di essere oggetto delle tue premure.

Infatti, nessuno è in grado di parlare bene se non chi ragiona saggiamente; perciò chi si applica alla vera eloquenza, attende alla saggezza, della quale nessuno può astenersi con indifferenza, neppure durante le guerre più aspre.

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