La dorata prigione del tiranno Dionisio

La dorata prigione del tiranno Dionisio

Dionysius tyrannus, cum bonis parentibus esset atque honesto loco abundaretque et aequalium familiaritatibus et consuetudine propinquorum,...

Il tiranno Dionisio, benchè fosse (essendo stato) di buone origini e di onorata famiglia, e abbondasse di amici tra i coetanei e parenti prossimi, non si fidava di nessuno di loro e affidava la tutela del (suo) corpo a crudeli barbari, che egli stesso aveva scelto e ai quali aveva tolto il nome della schiavitù.

Così, per il desiderio ingiusto di dominio si era in un certo senso rinchiuso in una prigione. Addirittura, per non affidare la gola ad un barbiere, insegnò alle sue figlie a rasare.

Così, esercitando un sordido mestiere servile, le fanciulle regali (quindi: 'le principesse'), come parrucchiere, tagliavano la barba e i capelli del padre. E tuttavia da quelle stesse (cioè dalle figlie), quando erano ormai adulte, tolse il ferro (nel senso: gli strumenti di ferro per radere) e decise di bruciarsi barba e capelli con gusci ardenti di noci. Avendo due mogli, di notte andava da loro solo dopo aver ispezionato tutto con grandissima attenzione.

E avendo condotto un largo fossato attorno al letto della (sua) camera e avendo unito il passaggio di quel fossato con un ponticello di legno, che lui stesso girava dopo aver chiuso la porta della stanza.

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