Cicerone esorta il figlio allo studio della filosofia - VERSIONE Cicerone

NOVA LEXIS PLUS pag. 218 n. 236

Quam ob rem magnopere te hortor, mi Cicero, ut non solum orationes meas, sed hos etiam de philosophia libros, qui iam illis fere se...

Perciò ti esorto vivamente, o mio Cicerone, a leggere con amore non solo le mie orazioni, ma anche questi miei libri filosofici, che ormai le uguagliano per mole e per numero: certo in quelle vi è un maggior vigore di stile, ma è ben degno d'esser coltivato questo mio stile di scrittura piana e pacata.

Francamente, a quanto mi è dato di vedere, nessuno dei Greci ha avuto finora la fortuna di riuscire allo stesso modo nell'uno e nell'altro genere, coltivando a un tempo quel genere che è proprio del foro, e questo, più tranquillo, che è proprio del ragionare, anche se non si può includere nel numero di costoro Demetrio di Falereo, ragionatore sottile, oratore poco vigoroso, ma tuttavia piacevole, per cui si può riconoscere in lui un discepolo di Teofrasto.

Quanto a me, quale sia stato il mio contributo nell'uno e nell'altro genere, non sta a me giudicare; in realtà io ho praticato entrambi i generi. Personalmente sono convinto che Platone, se avesse voluto trattare il genere forense, sarebbe diventato un potentissimo ed eloquentissimo oratore, e che Demostene, se avesse assimilato del tutto le dottrine apprese da Platone, e avesse voluto esporle, l'avrebbe fatto con molta eleganza e splendore;

e lo stesso giudizio esprimo su Aristotele e Isocrate; purtroppo sia l'uno che l'altro, innamorato ciascuno della propria disciplina, tenne in poco conto quella dell'altro.

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