Cicerone, la ricerca della gloria (Versione latino)

Cicerone, la ricerca della gloria
Autore: Cicerone

Itemque alii de vita, alii de gloria et benivolentia civium in discrimen vocantur. Promptiores igitur debemus esse ad nostra pericula quam ad communia dimicareque paratius de honore et gloria quam de ceteris commodis.

Inventi autem multi sunt, qui non modo pecuniam, sed etiam vitam profundere pro patria parati essent, idem gloriae iacturam ne minimam quidem facere vellent, ne re publica quidem postulante, ut Callicratidas, qui, cum Lacedaemoniorum dux fuisset Peloponnesiaco bello multaque fecisset egregie, vertit ad extremum omnia, cum consilio non paruit eorum, qui classem ab Arginusis removendam nec cum Atheniensibus dimicandum putabant. Quibus ille respondit Lacedaemonios classe illa amissa aliam parare posse, se fugere sine suo dedecore non posse. Atque haec quidem Lacedaemoniis plaga mediocris, illa pestifera, qua, cum Cleombrotus invidiam timens temere cum Epaminonda conflixisset, Lacedaemoniorum opes corruerunt. Quanto Q. Maximus melius! de quo Ennius: Unus homo nobis cunctando restituit rem. Noenum rumores ponebat ante salutem.

Ergo postque magisque viri nunc gloria claret. Quod genus peccandi vitandum est etiam in rebus urbanis. Sunt enim qui quod sentiunt, etsi optimum sit, tamen invidiae metu non audeant dicere.
Si trovano molti però che sono disposti a sacrificare per la patria non solo il denaro, ma anche la vita, mentre poi rifiutano di fare il più piccolo sacrificio della loro gloria, anche se lo richiede la patria. Come fece, per esempio, Callieratida, il quale, essendo ammiraglio degli Spartani nella guerra del Peloponneso e avendo compiuto molte e mirabili imprese, alla fine mandò tutto inrovina, per non aver voluto seguire il consiglio di coloro i quali giudicavano opportuno ritirare la flotta dalle Arginuse e non venire a battaglia con gli Ateniesi. Egli rispose loro che Sparta, perduta quella flotta, ben poteva allestirne un'altra, mentre lui non poteva fuggire senza macchiarsi d'infamia.

E quello fu per gli Spartani un colpo abbastanza lieve; rovinoso fu l'altro, quando Cleombroto, temendo lo sfavore popolare, a cuor leggero venne alle mani con Epaminonda, e la potenza di Sparta crollò. Quanto migliore fu la condotta di Quinto Massimo, del quale Ennio dice: "Un uomo solo, temporeggiando, rialzò le nostre sorti. Egli non anteponeva le dicerie del volgo alla salvezza della patria. Onde la gloria di quel grande di giorno in giorno risplende più viva " Questa sorta d'errore, per altro, si deve evitare anche nelle questioni civili: ci sono di quelli, infatti, che, per timore della impopolarità, non osano manifestare il loro pensiero, anche se ottimo.

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