Cosa significhi la parola filosofo (VERSIONE latino cicerone)

Cosa significhi la parola filosofo
Autore: Cicerone

Nec vero Atlans sustinere caelum nec Prometheus adfixus Caucaso nec stellatus Cepheus cum uxore genero filia traderetur, nisi caelestium divina cognitio nomen eorum ad errorem fabulae traduxisset.

A quibus ducti deinceps omnes, qui in rerum contemplatione studia ponebant, sapientes et habebantur et nominabantur, idque eorum nomen usque ad Pythagorae manavit aetatem. Quem, ut scribi auditor Platonis Ponticus Heraclides, vir doctus in primis, Phliuntem ferunt venisse, eumque cum Leonte, principe Phliasiorum, docte et copiose disseruisse quaedam. Cuius ingenium et eloquentiam cum admiratus esset Leon, quaesivisse ex eo, qua maxime arte confideret; at illum: artem quidem se scire nullam, sed esse philosophum. Admiratum Leontem novitatem nominis quaesivisse, quinam essent philosophi, et quid inter eos et reliquos interesset;

Né certamente si favoleggerebbe che Atlante sostiene la volta, celeste, che Promèteo è inchiodato sul Caucaso, che Cè, feo è tra­sformato in una costellazione con la moglie, col ge­nero, con la figlia, se i loro nomi non fossero passati nelle favole mitologiche per la loro divina conoscenza delle cose celesti. Per il loro esempio in seguito tutti quelli che si occupavano nella contemplazione della natura erano stimati e nominati sapienti e tale loro nome si propagò fino all'età di Pitàgora. Questi, come scrive Eràclide8 del Ponto, discepolo di Piatone, se­gnalatamente dotto, dicono siasi recato a Fliunte ed abbia tenuto con Leonte principe della città, alcuni

Pythagoram autem respondisse similem sibi videri vitam hominum et mercatum eum, qui haberetur maxumo ludorum apparatu totius Graeciae celebritate;

nam ut illic alii corporibus exercitatis gloriam et nobilitatem coronae peterent, alii emendi aut vendendi quaestu et lucro ducerentur, esset autem quoddam genus eorum, idque vel maxime ingenuum, qui nec plausum nec lucrum quaererent, sed visendi causa venirent studioseque perspicerent, quid ageretur et quo modo, item nos quasi in mercatus quandam celebritatem ex urbe aliqua sic in hanc vitam ex alia vita et natura profectos alios gloriae servire, alios pecuniae, raros esse quosdam, qui ceteris omnibus pro nihilo habitis rerum naturam studiose intuerentur; hos se appellare sapientiae studiosos—id est enim philosophos -; et ut illic liberalissimum esset spectare nihil sibi adquirentem, sic in vita longe omnibus studiis contemplationem rerum, cognitionemque praestare.

dotti e poderosi ragionamenti. Avendone Leonte am­mirato l'ingegno e l'eloquenza, gli domandò in quale scienza si credesse specialmente versato. Egli rispose che non conosceva alcuna scienza, ma era filosofo. Avendo fatto Leonte le meraviglie intorno a quel nome, che gli riusciva nuovo, gli domandò chi mai fossero i filosofi e qual differenza passasse fra loro e gli altri uomini. Pitàgora allora rispose che la vita umana gli pareva simile ad. una di quelle feste, che si tenevano con grandissimo spettacolo di giochi e col concorso di tutta la Grecia;

che siccome a quelle feste alcuni andavano per conseguire con gli esercizi fisici la gloria e la corona che da rinomanza, altri vi eran tratti dal desiderio di fare affari e guadagni nella compra e nella vendita, ma vi era poi una classe di pèrsone e per di più le più nobili di tutte, che non cercavano né applausi, né guadagni, ma vi andavano soltanto per osservare che cosa si facesse e come si facesse; parinienti noi, venuti a questa da un'altra vita e na­tura, come da una città ad una festa molto affollata, alcuni ci diamo da fare per la gloria, altri per il da naro, ci sono alcuni pochi, i quali, senza curarsi di. alcun'altra cosa, si danno a esaminare attentamente la natura delle cose; questi egli chiamava amanti della sapienza, cioè appunto filosofi. E come alle feste la parte più nobile era di chi stava a mirare senza cer­care alcun profitto per sé, così nella vita umana l'oc­cupazione più degna di ogni altra era la pura specu­lazione scientifica.

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