Gli antichi romani e la poesia

Gli antichi romani e la poesia versione latino Cicerone Versione dal libro nova officina

Sero a nostris maioribus poetae vel cogniti vel recepti esse videntur. quamquam (Però) est in originibus Catonis solitos esse in epulis canere convivas ad tibicinem de clamorum hominum virtutibus....

Sembra che i poeti siano stati conosciuti o ammessi dai nostri antenati tardi però si trova nelle origini di Catone che i commensali dei banchetti nel banchetto fossero soliti cantare con il flauto a proposito delle virtù degli uomini famosi.

I poeti non ebbero tuttavia onore infatti nel discorso del medesimo Catone si rimprovera come infamia il fatto che quel Marco Nobiliore avesse condotto i poeti nella provincia Infatti come sappiamo aveva portato in Etolia il poeta Ennio.

Non avendo di conseguenza i poeti nessun tributo di lode o ci furono meno opere letterarie poetiche e se anche alcuni apparivano lodevoli in quel genere non eguagliavano sufficientemente la gloria dei greci. L’onore mantiene le arti e tutti sono illuminati dalla gloria verso gli studi mentre rimangono tralasciate le cose che sono reputate da non seguire abbastanza con lode. Si reteneva da parte dei greci che la massima cultura fosse posta nei suoni delle corde e delle voci perciò si narra che Epaminonda cantasse in maniera magnifica e Temistocle fu considerato (assai=) piuttosto ignorante avendo rifiutato durante un banchetto la lira Perciò in Grecia i musici fiorirono e tutti imparavano questo e colui che non conosceva il canto non era ritenuto a sufficienza colto.

versione da altro libro

Doctrina Graecia nos et omni litterarum genere superabat; in quo erat facile vincere non repugnantes....

La Grecia ci era superiore in cultura e in ogni genere di studi: ma in quel campo era facile vincere, dal momento che non c'erano avversari.

In Grecia la poesia ha una tradizione antichissima, se Omero ed Esiodo vissero prima della fondazione di Roma, e Archiloco ai tempi di Romolo: da noi, invece, l'arte poetica apparve in epoca alquanto piu tarda. Livio, che è precedente a Plauto e a Nevio, diede la sua prima rappresentazione a circa, cinquecentodieci anni dalla fondazione di Roma, l'anno del consolato di Gaio Claudio, il figlio di Gaudio Cieco, e di Marco Tuditano: era quello l'anno prima della nascita di Ennio. Come si vede, i Romani hanno fatto conoscenza con la poesia tardi, e tardi hanno accolto i poeti. È vero che, nelle Origini, si legge che, ai banchetti, i convitati cantavano accompagnati dal flauto le gesta dei grandi uomini:

ma che la poesia non fosse in onore lo prova un discorso di Catone, in cui questi rimprovera a Marco Nobiliore come una cosa indegna il fatto di essersi portato dietro dei poeti nella sua provincia: come è noto, Marco Nobiliore, quando era console, aveva condotto con sé in Etolia Ennio. Così, quanto meno i poeti erano considerati, tanto meno la poesia destava interesse; ma con tutto ciò, quei pochi che mostrarono felice disposizione per questo genere letterario non fecero cattiva figura di fronte alla gloria dei Greci. Se Gaio Fabio, quel personaggio tanto in vista, avesse avuto qualche riconoscimento per la sua attività di pittore, come si fa a pensare che sarebbero mancati da noi i Policleti e i Parrasii?

È la fama l'alimento delle arti: la passione per gli studi nasce dal desiderio di gloria, e quelle attività che non riescono a divenire popolari restano per sempre trascurate. Segno di un'educazione veramente perfetta era per i Greci il saper cantare e suonare gli strumenti a corda; anche Epaminonda, quello che io considero l'uomo più grande di tutta la Grecia, sapeva suonare benissimo la cetra

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