Lettera accorata di Cicerone alla moglie - Cicerone Versioni latine per il triennio

Lettera accorata di Cicerone alla moglie
versione latino Cicerone traduzione
libro Versioni latine per il triennio n. 2 pagina 22

O me perditum, o afflictum! Quid nunc rogem te ut venias, mulierem aegram et corpore et animo confectam?...

O me perduto, o me afflitto! Che cosa ora dovrei chiederti di venire, donna malata e sfinita sia nel corpo che nello spirito?

Non dovrei chiedertelo? Dovrei dunque stare senza di te? Penso di fare così: se c’è la speranza di un mio ritorno rafforzala e asseconda la vicenda, se invece, come io temo, è finita, in qualunque modo puoi fai in modo di venire da me. Sappi solo questo: se ti avrò non mi sembrerà di essere perduto del tutto.

Ma che ne sarà della mia piccola Tullia? Ormai a questo provvedete voi; io sono incapace di decidere. Ma certamente, in qualunque modo andrà la cosa, occorre prendersi cura sia del matrimonio sia della reputazione di quella poveretta. A che scopo? Che cosa farà il mio Cicerone?

Potesse davvero stare sempre nel petto e nel mio abbraccio. Ormai non posso scrivere più; il dolore me lo impedisce. Non so che cosa tu abbia fatto: se possiedi ancora qualcosa o se, come temo (lett. Cosa che temo), tu ne sia spogliata completamente.

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