Un discorso del suocero Lelio sull'amicizia - VERSIONE latino Cicerone

Un discorso del suocero Lelio sull'amicizia
Autore: Cicerone

Cum saepe multa, tum memini domi in hemicyclio sedentem, ut solebat, cum et ego essem una et pauci admodum familiares, in eum sermonem illum incidere, qui tum forte multis erat in ore.

Meministi enim profecto, Attice, et eo magis, quod P. Sulpicio utebare multum, cum is tribunus pl. capitali odio a Q. Pompeio, qui tum erat consul, dissideret, quocum coniunctissime et amantissime uixerat, quanta esset hominum uel admiratio uel querela. Itaque tum Scaeuola, cum in eam ipsam mentionem incidisset, exposuit nobis sermonem Laeli de amicitia habitum ab illo secum et cum altero genero, C. Fannio Marci filio, paucis diebus post mortem Africani. Eius disputationis sententias memoriae mandaui, quas hoc libro exposui arbitratu meo; quasi enim ipsos induxi loquentes, ne "inquam" et "inquit" saepius interponeretur, atque ut tamquam a praesentibus coram haberi sermo uideretur.


Parlava spesso di molti argomenti e, in particolare, mi ricordo che, seduto nell’emiciclo a casa sua, come era solito fare, mentre ero presente io assieme ad un esiguo numero di amici stretti, capitò a parlare di quel discorso che era allora sulla bocca di molti. Ti ricordi certamente, infatti, Attico, e soprattutto perché eri in gran confidenza con Publio Sulpicio, poiché quel tribuno della plebe odiava a morte Quinto Pompeio che era allora console, con il quale aveva vissuto in grande familiarità ed affetto reciproco, quanto grande fosse lo stupore o la deplorazione della gente. Dunque, poiché Scevola allora era venuto a toccare quell’episodio, ci raccontò il discorso di Lelio tenuto sull’amicizia da lui con la partecipazione di Scevola stesso ed un altro genero, il figlio di Marco, Gaio Fannio, alcuni giorni dopo la morte dell’Africano.


Ho imparato a memoria i concetti fondamentali di quel dibattito, concetti che ho esposto secondo il mio criterio in questo libro. Infatti ho, per modo di dire, raffigurato i personaggi come se stessero parlando, perché non fosse interposto con eccessiva frequenza “inquit” ed “inquam” e perché il discorso sembrasse tenuto da persone presenti lì di fronte.

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