Alessandro malato si fida del medico Filippo - Versione latino Curzio Rufo

Erat inter nobiles medicos, fidus admodum regi: puero comes et custos salutis datus, non ut regem modo, sed etiam ut alumnum eximia caritate diligebat.

Is non praeceps se, sed strenuum remedium adferre tantamque vim morbi potione medicata levaturum esse promisit. Nulli promissum eius placebat praeter ipsum, cuius periculo pollicebatur. Omnia quippe facilius quam moram perpeti poterat: arma et acies in oculis erant, et victoriam in eo positam esse arbitrabatur, si tantum ante signa stare potuisset, id ipsum, quod post diem tertium medicamentum sumpturus esset, —ita enim medicus praedixerat, —aegre ferens. Inter haec a Parmenione fidissimo purpuratorum litteras accipit, quibus ei denuntiabat ne salutem suam Philippo committeret: mille talentis a Dareo et spe nuptiarum sororis eius esse corruptum. Ingentem animo sollicitudinem litterae incusserant et, quidquid in utramque partem aut metus aut spes subiecerat, secreta aestimatione pensabat: "Bibere perseverem, ut si venenum datum fuerit, ne inmerito quidem, quidquid acciderit, evenisse videatur? damnem medici fidem? in tabernaculo ergo me opprimi patiar? At satius est alieno me mori scelere, quam metu nostro. " Diu animo in diversa versato, nulli quid scriptum esset enuntiat epistulamque sigillo anuli sui impresso pulvino, cui incubabat, subiecit. Inter has cogitationes biduo absumpto inluxit a medico destinatus dies, et ille cum poculo, in quo medicamentum diluerat, intravit. Quo viso, Alexander levato corpore in cubili epistulam a Parmenione missam sinistra manu tenens accipit poculum et haurit interritus; tum epistulam Philippum legere iubet, nec a vultu legentis movit oculos ratus aliquas conscientiae notas in ipso ore posse deprehendere. Ille epistula perlecta plus indignationis quam pavoris ostendit, proiectisque amiculo et litteris ante lectum: "Rex", inquit, "semper quidem spiritus meus ex te pependit, sed nunc vere, arbitror, sacro et venerabili ore tuo trahitur. Crimen parricidii, quod mihi obiectum est, tua salus diluet: servatus a me vitam mihi dederis. Oro quaesoque, omisso metu patere medicamentum concipi venis; laxa paulisper animum, quem intempestiva sollicitudine amici sane fideles sed moleste seduli, turbant.

" Non securum modo haec vox, sed etiam laetum regem ac plenum bonae spei fecit.

Fra gli illustri medici, vi era Filippo, , molto devoto al re: dapprima compagno di giochi da fanciullo, poi custode della sua salute, egli amava Alessandro non solo come re, ma anche, con grande affetto, come allievo. Egli promise che avrebbe utilizzato non un rimedio immediato, ma efficace e che avrebbe debellato la virulenza del male con una pozione medicinale. Questa sua promessa non piacque a nessuno, tranne a colui che doveva sperimentarne il rischio. Infatti egli tutto poteva sopportare più facilmente che l’indugio: aveva davanti agli occhi le armi e gli eserciti e riteneva che la vittoria fosse riposta in lui, solo se avesse potuto trovarsi in testa alle sue insegne, e sopportava con impazienza persino il fatto che avrebbe dovuto assumere la pozione dopo tre giorni, come aveva prescritto il medico. Frattanto aveva ricevuto da Parmenione, il più fido dei cortigiani, una lettera in cui questi lo raccomandava di non affidare la propria salute nelle mani di Filippo, che diceva esser stato corrotto da Dario con mille talenti e con la promessa di sposarne la sorella. La lettera turbò molto l’animo del re, che meditava nel suo cuore se propendere per il timore o per la speranza. “Devo assumere la medicina, in modo che, se mi sarà stato propinato un veleno, sembrerà che, qualsiasi cosa sia accaduta, parrà accaduta perché me la sono meritata? Dovrei condannare la fedeltà del mio medico? Dunque dovrei tollerare di essere ucciso sotto la mia tenda? Sicuramente è preferibile morire per un delitto altrui che per mia paura”. Con l’animo a lungo indeciso tra le diverse soluzioni, non rivelò a nessuno il contenuto della lettera e dopo averla chiusa col sigillo del suo anello, la nascose sotto il suo cuscino Tra questi pensieri, trascorsi due giorni, giunse quello che il medico aveva stabilito e questi entrò con una coppa nella quale aveva preparato la medicina.

Alessandro, vedendolo, si levò a sedere e tenendo nella sinistra la lettera inviatagli da Parmenione, prese la coppa e bevve senza paura: quindi invitò Filippo a leggere la lettera e non gli distolse gli occhi da dosso mentre la leggeva, sperando di poter percepire dal suo volto qualche segno di ciò che pensava. Filippo, dopo aver letto attentamente la lettera, mostrò più indignazione che timore e gettando il mantello e la lettera davanti al letto, disse: “Mio re, la mia vita è sempre dipesa da te, ma ora, ritengo, essa deriva dalla tua sacra e venerabile bocca. La tua salute chiarirà l’accusa di parricidio che mi è stata mossa: salvato da me mi ridarai la vita. Ti scongiuro e ti prego, metti da parte ogni timore e permetti alla medicina di diffondersi per le tue vene: rilassa un po’ il tuo spirito, che con ingiustificata preoccupazione i tuoi amici, senza dubbio fidati, ma dannosamente ansiosi, hanno turbato. ” Queste parole non solo rassicurarono il re, ma lo resero felice e pieno di buona speranza

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