Generosità di Alessandro verso i nobili persiani prigionieri - VERSIONE Curzio Rufo

Igitur cum tempestivis conviviis dies pariter noctesque consumeret, satietatem epularum ludis interpellabat, non contentus artificum, quos e Graecia exciverat, turba: quippe captivae iubebantur suo ritum canere inconditum et abhorrens peregrinis auribus carmen.

Inter quas unam rex ipse conspexit maestiorem quam ceteras et producentibus eam verecunde reluctantem. Excellens erat rorma, et formam pudor honestabat: deiectis in terram oculis et, quantum licebat, ore velato suspicionem praebuit regi nobiliorem esse, quam ut inter convivales ludos deberet ostendi.

Ergo interrogata quaenam esset, neptim se Ochi, qui nuper regnasset in Persis, filio eius genitam esser respondit, uxorem Hystaspis fuisse. E propinquis hic Darei fuerat, magni et ipse exercitus praetor. Adhuc in animo regis tenues reliquae pristini moris haerebant. Itaque fortunam regia stirpe genitae et tam celebre nomen Ochi reveritus, non dimitti modo captivam, sed etiam restitui ei suas opes iussitm virum quoque requirim ut reperto coniugem redderet. Postero autem die praecepit Hephaestioni, ut omnes captivos in regiam iuberet adduci.

Ibi singulorum nobilitate spectata ecrevit a vulgo, quorum eminebat genus. M hi fuerunt: inter quos repertus est Oxathres, Darei frater, non illius fortuna quam indole animi sui clarior. XXVI milia talentum proxima praeda redacta erant: e quis duodecim milia in congiuarium militum absumpta sunt, par huic pecuniae summa custodum fraude subtracta est.

Dunque, (Alessandro) passando i giorni e allo stesso modo le notti con banchetti prolungati, occupava la noia dei commensalii con dei giochi, non contento della massa di saltimbanchi che aveva fatto venire dalla Grecia:

infatti fu ordinato a delle prigioniere persiane di intonare secondo la propria tradizione dei canti rozzi e sgraditi ad orecche straniere. Tra queste il re stesso ne notò una più triste delle altre, e che si opponeva con ritegno a coloro che la conducevano in pubblico. Era splendida di aspetto, e la pudicizia ne abbelliva le sembianze: abbassato lo sguardo a terra e velato il volto per quanto possibile diede al re il sospetto che fosse nata da una famiglia troppo nobile per doversi esibire in spettacoli conviviali. Quindi, domandatole chi mai fosse, rispose che era la nipote di Oco, che aveva regnato fino a poco tempo prima sui Persiani, nata da suo figlio, e che era stata la moglie di Istaspe.

Quest'ultimo era stato parente di Dario, ed era stato egli stesso a capo di un grande esercito. Nell'animo del re rimanevano ancora deboli tracce della sua antica indole. E così, rispettando la sorte di una nata da stirpe reale e il tanto celebre nome di Oco, ordinò non solo che la prigioniera venisse liberata, ma anche che le fossero restituiti i suoi averi, che fosse persino rintracciato il marito, per restituirgli la moglie ritrovata. Inoltre l'indomani ordinò ad Efestione di ordinare che tutti i prigionieri fossero condotti nella regia. Lì, valutata la nobiltà di ciascuno, separò dalla massa coloro dei quali appariva ben visibile la nobiltà. Questi furono mille: tra di loro fu trovato Oxarte, fratello di Dario, più famoso di quest'ultimo non per la fortuna di quello ma per l'indole del proprio animo.

Con l'ultimo bottino erano stati razziati ventiseimila talenti: di questi dodicimila furono spesi per le distribuzioni ai soldati, altrettanti furono sottratti a causa della disonestà delle guardie. C'era il nobile persiano Ossidate, che, destinato alla morte da Dario, veniva tenuto in ceppi; dopo averlo liberato, gli assegnò la satrapia della Media, e accolse il fratello di Dario nel gruppo degli amici, restituita(gli) ogni onore della precedente nobiltà

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