Accio e Pacuvio (Versione latino Gellio)
Accio e Pacuvio versione latino Gellio e traduzione
Cum Pacuvius, grandi iam aetate et morbo corporis diutino adfectus* Tarentum ex urbe Roma concessisset, Accius tunc haud parvo iunior...
Essendosi Pacuvio, indebolito dall'età ormai avanzata e da un cronico malanno: del corpo, ritirato dalla città di Roma a Taranto, Àccio, allora non di poco più giovane, mentre era in viaggio per l'Asia, dopo essere giunto in una città, fece una sosta da Pacuvio e invitato cortesemente e ospitato da lui per parecchi giorni gli lesse, giacché (Pacuvio) lo desiderava, la sua tragedia, il cui nome è "Àtreo". Dicono allora che Pacuvio abbia detto che ciò che (Àccio) aveva scritto era certamente risonante e sublime ma che tuttavia gli sembrava un pò troppo duro e acerbo.
"E' cosi come dici", rispose Àccio; "e non me ne pento assolutamente; spero infatti che sarà migliore ciò che scriverò in seguito. Infatti quel che succede (lett. : ciò che c'è) per i frutti dicono che accade anche per gli ingegni; quelli che nascono duri e acerbi, poi diventano teneri e rigogliosi; ma quelli che nascono subito vizzi e molli e sono succosi dall'inizio, non maturano in seguito, ma diventano marci.
Allora mi è parso giusto lasciare nell'ingegno ciò che i giorni e l'età facciano maturare.
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