Un eloquio troppo ricercato cade nel ridicolo - Gellio versone latino ornatus

Un eloquio troppo ricercato cade nel ridicolo
Versione di latino di Gellio
LIBRO N. P. N. 407 ORNATUS PAG. 474

inizio: Verbis uti aut nimis obsoletis exculcatisque

Fine: quasi nescio Tusce aut Gallice dixisset, universi riserunt


Mi sembra essere una colpa equivalente usare parole o troppo obsolete e decadute dall'uso comune, oppure desuete e di una ricercatezza pesante e senza garbo.

Ma io ritengo che sia ancor più sgradevole usare parole nuove e sconosciute, mai sentite prima, piuttosto che parole comuni e volgari. Affermo che sembrano nuove anche quelle che sono fuori dal comune e abbandonate, sebbene siano vetuste. Ciò è a tal punto tipico di una tardiva erudizione che, poiché non l'hai mai imparata, l'hai ignorata a lungo, quando una buona volta hai cominciato ad impararla, tieni in gran conto di dirla in qualunque posto e situazione.

Come (è capitato) a noi quando eravamo presenti a Roma, un uomo vecchio e celebrato nei processi, ma dotato di un erudizione quasi improvvisata e messa insieme alla rinfusa, portandosi davanti al prefetto della città e volendo dire che un tale viveva di cibo povero e misero, e mangiava spesso pane di crusca e beveva vino guasto e puzzolente, disse: "Questo cavaliere Romano mangia apludam e beve flocces (non devono essere tradotti questi due termini).

" Tutti coloro che erano presenti si guardarono l'un l'altro, dapprima piuttosto sei e con lo sguardo turbato e che si domandava quale mai fosse il significato di entrambi le parole, poi dopo, quasi che avesse detto qualcosa in Etrusco o in Gallico, tutti risero.

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