Creso e Solone: dibattito sulla felicità (Versione greco)

Creso e Solone: dibattito sulla felicità

Vedo bene che tu sei ricchissimo e re di molte genti, ma ciò che mi hai chiesto io non posso attribuirlo a te prima di aver saputo se hai concluso felicemente la tua vita. Chi è molto ricco non è affatto più felice di chi vive alla giornata, se il suo destino non lo accompagna a morire serenamente ancora nella sua prosperità.

Infatti molti uomini, pur essendo straricchi, non sono felici, molti invece, che vivono una vita modesta, possono dirsi davvero fortunati. Chi è molto ricco ma infelice è superiore soltanto in due cose a chi è fortunato, ma quest'ultimo rispetto a chi è ricco è superiore da molti punti di vista. Il primo può realizzare un proprio desiderio e sopportare una grave sciagura più facilmente, ma il secondo gli è superiore perché, anche se non è in grado come lui di sopportare sciagure e soddisfare desideri, da questi però la sua buona sorte lo tiene lontano; e non ha imperfezioni fisiche, non ha malattie e non subisce disgrazie, ha bei figli e un aspetto sempre sereno. E se oltre a tutto questo avrà anche una buona morte, allora è proprio lui quello che tu cerchi, quello degno di essere chiamato felice. Ma prima che sia morto bisogna sempre evitare di dirlo felice, soltanto "fortunato". Certo, che un uomo riunisca tutte le suddette fortune, non è possibile, così come nessun paese provvede da solo a tutti i suoi fabbisogni:

se qualcosa produce, di altro è carente, cosicché migliore è il paese che produce più beni. Allo stesso modo non c'è essere umano che sia sufficiente a se stesso: possiede qualcosa ma altro gli manca; chi viva, continuamente avendo più beni, e poi concluda la sua vita dolcemente, ecco, signore, per me costui ha diritto di portare quel nome. Di ogni cosa bisogna indagare la fine. A molti il dio ha fatto intravedere la felicità e poi ne ha capovolto i destini, radicalmente".
Creso non rimase per niente soddisfatto di questa spiegazione; non tenne Solone nella minima considerazione e lo congedò; considerava senz'altro un ignorante chi trascurava i beni presenti e di ogni cosa esortava a osservare la fine.
Dopo la partenza di Solone Creso subì la vendetta del dio: la subì, per quanto si può indovinare, perché aveva creduto di essere l'uomo più felice del mondo. Non era trascorso molto tempo quando nel sonno ebbe un sogno rivelatore: sognò le sventure che sarebbero poi effettivamente capitate a suo figlio.

Creso aveva due figli, uno dei quali menomato (era muto), mentre l'altro, di nome Atis, primeggiava fra i suoi coetanei in ogni attività; il sogno indicò a Creso chiaramente che Atis sarebbe morto colpito da una punta di ferro. Al risveglio, quando si rese conto del contenuto del sogno, ne provò orrore; allora fece prendere moglie al figlio e siccome prima era abituato a guidare l'esercito lidio, non lo inviò più in nessun luogo per incarichi di questo tipo. Frecce, giavellotti e tutti quegli strumenti che si usano per combattere, li fece asportare dalle sale degli uomini e ammucchiare nelle stanze delle donne, perché nessuno di essi, rimanendo appeso alle pareti, potesse cadere accidentalmente sul figlio

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