Accio e Pacuvio
Cum Pacuvius, grandi iam aetate et morbo corporis diutino adfectus, Tarentum ex urbe...quod dies atque aetas mitificet."
Essendosi Pacuvio, indebolito dall'età ormai avanzata e da un cronico malanno fisico [lett.:del corpo], ritirato dalla città di Roma a Taranto, Accio, allora non di poco [ = molto] più giovane, dopo esser giunto in città fece una sosta da Pacuvio e invitato cortesemente e ospitato da lui gli lesse, giacché (Pacuvio)
lo desiderava, la sua tragedia, , il cui nome è [ = intitolata] "Atreo". Dicono allora che Pacuvio abbia detto che ciò che (Accio) aveva scritto era certamente risonante e sublime ma che tuttavia gli sembrava un pò troppo duro e acerbo.
"E' così nel modo in cui dici", rispose Accio; "e non me ne pento assolutamente; spero infatti che sarà migliore ciò che scriverò in seguito. Infatti quel che succede [lett. : ciò che c'è] per i frutti dicono che accade anche per gli ingegni; quelli [i frutti] che nascono duri e acerbi, poi diventano teneri e rigogliosi; ma quelli che nascono subito vizi e molli e sono succosi dall'inizio, non maturano in seguito, ma diventano marci.
Allora mi è parso giusto lasciare nell'ingegno ciò che i giorni e l'età facciano maturare.
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