Dall'esilio

Ego te quam primum, mea vita, cupio videre et in tuo complexu emori, quoniam neque di, quos tu castissime coluisti, neque homines, quibus ego semper servivi, nobis grati fuerunt....

Io desidero vederti quanto prima, vita mia e morire nel tuo abbraccio dato che né gli dèi, che tu castissimamente hai venerato, né gli uomini, a cui io sempre ho servito, ci furono grati.

Cosa ora dovrei chiederti, che tu giunga, donna malata e sfinita nel corpo e nell'animo? Il mio Cicerone cosa dovrebbe fare? In verità lui è sempre nel mio cuore e nel mio abbraccio.

Non posso scrivere ormai di più: il dolore me lo impedisce. Ora io misero quando riceverò ormai le tue lettere? Chi me le consegnerà? Abbiamo vissuto molto onestamente, abbiamo prosperato: non ci ha abbattuto il nostro vizio, ma la nostra virtù. Abbi cura di stare bene, e di pensare, che io sono agitato più impetuosamente dalla tua miseria che dalla mia.

Mia Terenzia, fedelissima e ottima moglie, e mia carissima figlioletta e nostra residua speranza, Cicerone, state bene.
(By Maria D.)

Versione tratta da Cicerone

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