Lettera al Magnifico - Versione latino Pico della Mirandola

Lettera al magnifico
versione latino Pico della Mirandola
Legi, Laurenti Medice, rhytmos tuos quos tibi vernaculae Musae per aetatem teneram suggesserunt agnovi Musarum et Gratiarum legittimam ...

Ho letto, caro Lorenzo, quelle tue poesie in volgare che le Muse ti ispirarono in tenera età ed ho riconosciuto in esse la prole legittima delle Muse e delle Grazie; ma non mi sono accorto che si trattava di un'opera giovanile.

Come non scorgere nei tuoi versi e nell'armonica loro giuntura le Grazie ritmicamente danzanti? Come non sentire nella espressione così canora ed armonica il canto stesso delle Muse?

[testo omesso: Come riconoscere un giovinetto in quella levità non ricercata, in quella lieta arguzia, in quella piccante dolcezza, in quella conveniente seduzione, in quel mirabile candore, in quella saggia disposizione e in quella profondità tratta dai più intimi penetrali della filosofia? Ben so di non essere da tanto da poter giudicare. fine del testo omesso]

Ma vorrei mi fosse lecito esprimere la mia opinione senza sospetto di adulazione: vorrei dire che non c'è nessuno degli antichi scrittori che tu non superi di gran lunga in questa forma letteraria.

E perché tu non creda che io lo dico per farti piacere, ti renderò ragione di questo mio giudizio. Voi avete due celebrati poeti fiorentini: Francesco Petrarca e Dante Alighieri, a proposito dei quali in genere conviene premettere che fra i dotti alcuni rilevano un certo difetto di contenuto in Petrarca, di forma in Dante.

Chi abbia mente ed orecchie nulla di simile rimpiangerà nei tuoi versi, in cui è difficile dire se valgano più le cose o le parole...[...] Bisogna aggiungere poi che essi hanno composto i loro versi negli ombrosi ritiri di pacifici studi, mentre tu hai cantato fra i tumulti e gli strepidi della curia, i clamori del foro, fra gravissime cure, in tempi estremamente torbidi.

Per quei poeti le Muse erano l'occupazione quotidiana e principale, per te erano un riposo e un ristoro dagli affanni. Per essi erano il maggior lavoro, per te la pace nel lavoro.

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