Nerone e i cavalli

Nero, cum magister semper eum hortatus esset ne ad ludos adveniret, tamen maxime equorum studio ab adulescentia flagravit....

Nonostante fosse sempre esortato dal maestro a non recarsi ai giochi, Nerone tuttavia arse per l'amore dei cavalli durante l'adolescenza.

Apprezzava così tanto i cavalli che una volta, poiché il maestro lo rimproverava, siccome invece dello studio pensava ai cavalli, rispose che aveva intenzione di fare una poesia su Ettore.

Quando divenne principe, giocava sul tavolo ogni giorno con quadrighe d'avorio, andava a tutti i giochi da circo e dapprima di nascosto, poi invece apertamente, affinché tutti sapessero che era un esperto. E non dissimulava di ritenere che si dovesse ampliare il numero di premi: e per questo motivo, moltiplicate le corse, lo spettacolo si protraeva fino a tardi.

Subito egli volle condurre un cocchio, e, per imparare l'arte, per due giorni osservò gli aurighi nel Circo Massimo

Dal libro Latino Italiano versioni per il triennio

Equorum studio vel praecipue ab ineunte aetate flagravit plurimusque illi sermo, quanquam vetaretur, de circensibus erat; et quondam...

Ebbe, fin dalla più tenera età, una passione per i cavalli particolarmente viva e la maggior parte delle sue conversazioni, sebbene gli fosse vietato, verteva sui giochi del circo;

un giorno con i suoi discepoli si lamentava che un cocchiere del partito verde fosse stato trascinato dai suoi cavalli e quando il suo maestro lo rimproverò, disse, mentendo, che stava parlando di Ettore. All'inizio del suo principato si divertiva quotidianamente a spostare quadrighe d'avorio su un tavolo da gioco e lasciava il suo ritiro per assistere anche ai meno importanti giochi di circo, in un primo tempo di nascosto, poi apertamente, in modo che in quei giorni tutti erano certi che sarebbe stato presente.

D'altra parte non faceva mistero di voler aumentare il numero dei premi e così, moltiplicate le rappresentazioni, protraeva lo spettacolo fino a tardi e anche i capisquadra non si degnavano di condurre fuori i loro uomini se non per una corsa che durasse una intera giornata. Ben presto volle guidare anche lui un carro e per di più esibirsi spesso; fatto allora il suo apprendistato nei suoi giardini in mezzo agli schiavi e al popolino, si offrì agli occhi di tutti nel Circo Massimo, mentre uno dei suoi liberti gettava il drappo dal posto dove generalmente lo facevano i magistrati.

Non contento di aver dato prove a Roma di queste sue capacità, se ne andò in Acaia, come abbiamo detto, soprattutto per questi motivi. In quella provincia le città dove si organizzavano solitamente concorsi di musica, avevano deciso di inviargli tutte le corone dei citaredi.

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