Piacere epicureo e virtù stoica
Quid est, oro vos, cur separari voluptas a virtute non possit? Voluptas etiam ad vitam turpissimam venit, at virtus malam vitam non admittit....
Perchè, vi chiedo, non si possono separare piacere e virtù? Il piacere è unito anche ad una vita molto turpe, ma la virtù non ammette a una vita sregolata.
Perchè mettete a confronto delle cose così dissimili, anzi, opposte? La virtù è un qualcosa di elevato, eccelso e regale, invincibile, infaticabile: il piacere è umile e servile, debole e inutile, il cui luogo e dimora sono i bordelli e le bettole. La virtù si incontrerà nel tempio, nel foro, nella curia, davanti alle mura, polverosa, colorita, dalle mani callose;
il piacere (si incontrerà) più spesso nascosto e in cerca delle tenebre, attorno ai bagni, ai sudatoi e ai luoghi che hanno paura degli edili debole e senza vigore, impregnato di vino e profumo, pallido o tinto e imbalsamata come un cadavere. Il sommo bene è immortale, non sa finire, non ha sazietà né pentimento:
infatti un'anima onesta non viene mai trasformata né nutre odio né cambia qualcosa che già è la cosa migliore; ma il piacere, appunto, viene meno quando diletta tantissimo; non ha molti luoghi e così soddisfa rapidamente, è un fastidio e dopo il primo ardore marcisce.
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