Alla partenza dei consoli per la guerra contro Annibale, Q. F. Massimo ammonisce L. Emilio a guardarsi da C. Terenzio
Inizio: Si aut collegam, id quod mallem, tui similem, L. Aemili, haberes aut tu collegae tui esses similis, supervacanea esset oratio mea ...
O Lucio Emilio, se tu avessi un collega simile a te, come preferirei, o se tu fossi simile al tuo collega, il mio discorso sarebbe superfluo;
infatti se foste due buoni consoli, anche se io non parlassi, fareste tutte le cose nell’interesse della repubblica e secondo la vostra lealtà, e se foste malvagi, non ascoltereste le mie parole né accogliereste i miei consigli nei vostri animi. Ora, quando guardo al tuo collega e considero che genere di uomo tu sei tutto il discorso devo indirizzarlo a te, che, presagisco, sarai sia un buon uomo, sia un buon cittadino buono invano, se, essendo la repubblica per metà zoppicante, le intenzioni malvagie avranno stesso diritto e potere di quelle buone.
Infatti sbagli, Lucio Paolo, se pensi che per te ci sarà meno da lottare con Gaio Terenzio piuttosto che con Annibale; non so se questo avversario incomba su di te più pericoloso dell’altro; con quello dovrai combattere solo in battaglia, con questo lo farai in tutti i luoghi e i tempi; contro Annibale e le sue legioni combatterai con i tuoi cavalieri e i tuoi soldati, il comandante Varrone ti combatterà con i tuoi (stessi) soldati.
E sia lontana da te, come un male augurio, la memoria di Caio Flaminio, benché quello cominciò a rinsavire quando fu console, in provincia e con l'esercito, mentre questo impazzì già prima di chiedere il consolato, poi nel chiedere il consolato, ed anche ora che è console impazza prima d'aver veduto il campo e il nemico
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