Giunio e Bruto e i figli del re Tarquinio all'oracolo di Apollo (Versione latino Livio)

Autore: Livio

Haec agenti portentum terribile visum: anguis ex columna lignea elapsus cum terrorem fugamque in regia fecisset, ipsius regis non tam subito pavore perculit pectus quam anxiis implevit curis.

Itaque cum ad publica prodigia Etrusci tantum vates adhiberentur, hoc velut domestico exterritus visu Delphos ad maxime inclitum in terris oraculum mittere statuit. Neque responsa sortium ulli alii committere ausus, duos filios per ignotas ea tempestate terras, ignotiora maria in Graeciam misit. Titus et Arruns profecti; comes iis additus L. Iunius Brutus, Tarquinia, sorore regis, natus, iuvenis longe alius ingenii quam cuius simulationem induerat. Is cum primores civitatis, in quibus fratrem suum, ab avunculo interfectum audisset, neque in animo suo quicquam regi timendum neque in fortuna concupiscendum relinquere statuit contemptuque tutus esse ubi in iure parum praesidii esset. Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen ut sub eius obtentu cognominis liberator ille populi Romani animus latens opperiretur tempora sua. Is tum ab Tarquiniis ductus Delphos, ludibrium verius quam comes, aureum baculum inclusum corneo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambages effigiem ingenii sui. Quo postquam ventum est, perfectis patris mandatis cupido incessit animos iuvenum sciscitandi ad quem eorum regnum Romanum esset venturum. Ex infimo specu vocem redditam ferunt: imperium summum Romae habebit qui vestrum primus, O iuvenes, osculum matri tulerit. Tarquinii ut Sextus, qui Romae relictus fuerat, ignarus responsi expersque imperii esset, rem summa ope taceri iubent; ipsi inter se uter prior, cum Romam redisset, matri osculum daret, sorti permittunt. Brutus alio ratus spectare Pythicam vocem, velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet quod ea communis mater omnium mortalium esset.

Reditum inde Romam, ubi adversus Rutulos bellum summa vi parabatur.
Nel bel mezzo di queste iniziative, si assistette a un prodigio tremendo: da una colonna di legno sbucò fuori un serpente che gettò nel o il palazzo reale. Quanto al re, la sua reazione non fu di improvviso terrore ma di ansia e preoccupazione. Per i prodigi di carattere pubblico Tarquinio consultava soltanto gli indovini etruschi. Ma in questo caso, spaventatissimo da un fenomeno che sembrava interessare la sua casa, stabilì che fosse interrogato l'oracolo di Delfi, il più famoso del mondo. Non osando però affidarne a nessun altro il responso, mandò due dei suoi figli in Grecia attraverso terre a quel tempo ignote e attraverso mari ancora più ignoti. Tito e Arrunte partirono. Al loro séguito si imbarcò anche Lucio Giunio Bruto, figlio di Tarquinia, sorella del re, giovane dal carattere completamente diverso da quello che dava a vedere. Quando era venuto a sapere che i personaggi più in vista della città, e tra questi suo fratello, erano stati eliminati dallo zio, aveva deciso di rinunciare a ogni atteggiamento e a ogni successo economico che avrebbero potuto innervosire il re o suscitarne l'invidia, e si era risolto a cercare la sicurezza nel disprezzo, visto che la giustizia offriva ormai ben poca protezione. Così, facendo apposta l'imbecille e lasciando che il re disponesse liberamente della sua persona e delle sue sostanze, non aveva rifiutato nemmeno il soprannome di Bruto, per mascherare il grande coraggio che, una volta scoccata l'ora fatale, lo avrebbe spinto a liberare il popolo romano. Era lui che i Tarquini si portavano a Delfi, più come una spassosa macchietta che come un compagno di viaggio: pare che il suo dono ad Apollo consistesse in un bastone d'oro racchiuso in un altro di corno che era stato scavato proprio con quell'intento, a rappresentazione simbolica del suo carattere.

Una volta arrivati a Delfi e compiuta la missione per conto del padre, i giovani furono presi dal desiderio insopprimibile di sapere a chi di loro sarebbe toccato il regno di Roma. Pare che dal profondo dell'antro si sentì una voce pronunciare le seguenti parole: "A Roma regnerà, o giovani, il primo di voi che darà un bacio a sua madre. " I Tarquini, per far sì che Sesto, rimasto a Roma, non venisse a sapere del responso e restasse così tagliato fuori dal potere, impongono il segreto più assoluto sull'episodio. Di comune accordo lasciano che la sorte decida chi, una volta a Roma, bacerà per primo la madre. Bruto pensò invece che il responso della Pizia avesse un altro significato: per questo, facendo finta di scivolare, cadde a terra e vi appoggiò le labbra, considerando la terra madre comune di tutti i mortali. Quindi rientrarono a Roma, dove fervevano i preparativi per una guerra contro i Rutuli.

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