Superstizione dei romani - versione latino

Superstizione dei romani versione latino

Quanto diutius trahebatur bellum et variabant secundae adversaeque res non fortunam magis quam animos hominum, tanta religio, et ea magna...

Quanto la guerra si trascinava più a lungo e le situazioni favorevoli e avverse mutavano la fortuna non più che gli animi degli uomini, con tanta superstizione grande assalì la cittadinanza dalla parte esterna, che o gli uomini o gli dei sembravano velocemente diventati altri.

Nè già soltanto in segreto e tra le mura domestiche i Romani abolivano i riti, ma anche nella pubblica piazza e sul Campidoglio c'era una turba di donne che né sacrificavano né pregavano gli dei secondo la tradizione dei padri. Sacerdoti e indovini avevano preso le menti degli uomini; la plebe rurale aumentò il numero di questi, dagli incolti e minacciati campi per una lunga guerra e la paura penetrata in città, e il guadagno facile dall'inganno altrui, che trafficavano come mestiere permesso.

Inizialmente si ascoltavano segrete indignazioni degli onesti; quindio la cosa si estese anche ai senatori e alla pubblica lamentela. Accusati gravemente dal senato gli edili e i treviri capitali, poiché non vietavano (queste cose), avendo intrapreso a scacciare questa moltitudine dal foro e distruggere il fasto dei sacrifici, mancò poco che fossero oltraggiati. Quando apparì che il male c'era già, che affinché i più piccoli fossero fermati tramite il magistrato, fu dato dal senato il compito al pretore urbano Marco Emilio, per liberare il popolo da queste credenze.

Egli sia nell'assemblea del senato diede un consulto ed emanò un decreto, che, chiunque, avendo libri di predizioni o di formule di preghiera o un trattato sull'arte di sacrificare, portasse tutti i libri e tutte le cose scritte a lui prima del primo Aprile, affinché nessuno avrebbe sacrificato in luogo pubblico ao sacro con un rito nuovo o straniero.

Superstizione dei romani dal libro Verte Mecum - diversa

Inizio: scimus Romanos superstitione imbutos fuisse. etenim existimabant futura praedici ab iis qui victimarum exta inspiciebant quique haruspices vocabantur....

Sappiamo che i Romani furono imbevuti di superstizione. Credevano infatti che il futuro fosse predetto da coloro che esaminavano le viscere delle vittime e che si chiamavano aruspici.

Pensavano anche che il volere degli dei fosse manifestato dal volo degli uccelli, e che la vittoria o la sconfitta degli eserciti fosse predetta dalla fame dei giovano animali sacri.

Così Virgilio afferma che la morte di Cesare era stata annunciata da molti prodigi; narra infatti che il sole fu oscurato da una fosca caligine, che le Alpi tremarono per insoliti movimenti, che gli animali parlarono, che dai pozzi fuoriuscisse sangue. E tutte queste cose, orribili a vedersi, infondevano negli animi un gelido terrore.

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