Maturità 2011 - Il vero bene è la virtù - versione latino Seneca

Il vero bene è la virtù versione di latino di Seneca assegnata alla seconda prova Maturità 2011

Quicumque beatus esse constituet, unum esse bonum putet quod honestum est;

nam si ullum aliud existimat, primum male de providentia iudicat, quia multa incommoda iustis viris accidunt, et quia quidquid nobis dedit breve est et exiguum si compares mundi totius aevo. Ex hac deploratione nascitur ut ingrati divinorum interpretes simus: querimur quod non semper, quod et pauca nobis et incerta et abitura contingant. Inde est quod nec vivere nec mori volumus: vitae nos odium tenet, timor mortis.

Natat omne consilium nec implere nos ulla felicitas potest. Causa autem est quod non pervenimus ad illud bonum immensum et insuperabile ubi necesse est resistat voluntas nostra quia ultra summum non est locus. Quaeris quare virtus nullo egeat? Praesentibus gaudet, non concupiscit absentia; nihil non illi magnum est quod satis.

Ab hoc discede iudicio: non pietas constabit, non fides, multa enim utramque praestare cupienti patienda sunt ex iis quae mala vocantur, multa impendenda ex iis quibus indulgemus tamquam bonis. Perit fortitudo, quae periculum facere debet sui; perit magnanimitas, quae non potest eminere nisi omnia velut minuta contempsit quae pro maximis vulgus optat; perit gratia et relatio gratiae si timemus laborem, si quicquam pretiosius fide novimus, si non optima spectamus

 

 

Chiunque deciderà di essere felice, reputi che l’unico bene è quello dell’onestà;

in effetti, se pensa che ce ne sia un altro, in primo luogo giudica male la provvidenza, perchè agli uomini buoni capitano molte avversità, e perché qualsiasi cosa che ci ha dato è di breve durata e poco durevole se lo paragoni alla durata dell’intero universo. Da questo lamento deriva il fatto che siamo ingrati interpreti dei doni divini: ci lamentiamo del fatto che non ci capitino sempre, che ci capitino in esiguo numero, labili, e destinati a svanire. Da qui nasce il motivo per cui non vogliamo né vivere né morire: ci prende odio per la vita e la paura della morte. Ogni (nostra) decisione fluttua e nessuna felicità può soddisfarci.

Il motivo è che non siamo giunti a (non abbiamo raggiunto) quel bene immenso e insuperabile, dove è necessario che la nostra volontà si fermi, perché non vi è altro luogo oltre la vetta. Ti chiedi perché la virtù non ha bisogno di nulla ? Si diletta dei beni presenti, non ambisce a quelli che non ci sono; per quella (essa) è grande tutto ciò che è sufficiente. Allontanati da questa valutazione: non risulterà nessuna pietà, nessuna fedeltà, molti di quelli che sono chiamati mali dovranno essere subìti da colui che desidera che siano garantite entrambe queste virtù, molte di quelle cose che assecondiamo come beni dovranno essere sacrificate.

Viene meno il coraggio, che deve mettere alla prova se stesso; viene meno la grandezza d’animo, che non può eccellere se non ha disprezzato come insignificanti tutte le cose che la gente desidera come i più grandi beni; viene meno la riconoscenza e la dimostrazione di riconoscenza, se temiamo la fatica, se conosciamo qualcosa di più prezioso della fedeltà, se non teniamo fisso lo sguardo al sommo bene.

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