La presa di Veio

Ἔπειτα πρὸς τὴν πολιορκίαν τραπόμενος τῶν Βηίων, καὶ τὸν ἐκ προσβολῆς ἀγῶνα χαλεπὸν καὶ δύσεργον ὁρῶν, ὑπονόμους ἔτεμνε, τῶν περὶ τὴν πόλιν...

Poi dirigendosi all’assalto di Veio e vedendo che l’impresa era grave, e difficoltosa per quanto riguardava il primo attacco, faceva scavare dei cunicoli sotterranei, visto che le regioni intorno alla città permettevano lo scavo di cunicoli e poiché il terreno permetteva di spingere in profondità i lavori di nascosto dai nemici.

Poiché la speranza procedeva oltre per la sua via, egli si gettava all’assalto (della città) dall'esterno incitando i nemici (ad accorrere) sulle mura, mentre altri (il resto dell'esercito) invece passando di sotto di nascosto attraverso i cunicoli giunsero, senza farsene accorgere, sotto la rocca nelle vicinanze del tempio di Giunone, che era il più grande della città ed era molto venerato.

Si dice che quel momento stesse lì per caso il comandante degli Etruschi sacrificando, e che l’indovino esaminando nelle viscere (di una vittima), gridò a gran voce che la divinità avrebbe dato la vittoria a chi avesse compiuto quei riti.

E si dice che i Romani, che avevano ascoltato quella frase perché si trovavano nei cunicoli, velocemente abbiano bucato il soffitto, e dopo essere usciti con grida e fragori di armi, mentre i nemici erano spaventati ed erano fuggiti, dopo aver afferrate le viscere le portarono a Camillo.

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