Una riflessione sull'ingratitudine (Versione latino Seneca)

Una riflessione sull'ingratitudine Autore: Seneca Littera ae vol. 2 d

Deficiet dies enumerantem ingratos osque in ultima patriae exitia. Aeque immensum erit, si percurrere coepero, ipsa respublica quam ingrata...

Un giorno non basterà ad elencare (tutti) quelli che sono stati ingrati fino all’estrema rovina della patria.

Allo stesso mondo non si terminerebbe mai di dire, una volta che incomincerò ad elencare, quanto lo stesso stato si sia comportato in modo irriconoscente verso i migliori e più devoti ad essao e quanto abbia errato più spesso di quanto non si sia errato verso lo stesso (stato).

Mandò in esilio Camillo, mandò via Scipione; Cicerone andò in esilio dopo Catilina, distrutti i suoi Penati, presi gli averi, fatta qualunque cosa che avrebbe fatto Catilina se vincitore. Rutilio pagò il fio della propria innocenza: nascondersi in Asia. Il popolo romano negò la pretura a Catone, a lui rifiutò accanitamente il consolato.

Siamo in generale ingrati. Ognuno si domandii: nessuno non si lamenta dell’ingratitudine di qualcuno (altro anch'esso) ingrato. Eppure non può succedere che tutti si lagnino, se non bisogna lagnarcii di tutti: quindi tutti sono ingrati.

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